Il problema non è la famiglia. La questione è molto più radicale ed profonda.
Tutto il dibattito che si è acceso attorno al tanto discusso convegno di Verona afferisce ad un livello più elementare e basilare. La famiglia è solo un “dettaglio” (se mi è permesso dire così), il pretesto per mettere a confronto due modi differenti di intendere il tema della verità. Che cosa è vero? Che cosa falso? Cosa dobbiamo accettare nella nostra vita e cosa rifiutare? Che direzione dare alle nostre scelte e come valutare quelle di coloro che vivono con noi?
Il tema della verità è un tema antico quanto l’uomo. Pare come se l’uomo non possa vivere senza porsi la domanda della verità. Magari oggi la domanda è più sommessa e meno esplicita; va un po’ rintracciata sotto l’onda dell’indifferenza e della superficialità…ma esiste… come delle braci che giacciono silenziose sotto il fuoco che pare spento ma che sono pronte ad riprendere vigore non appena si anima con decisione la fiamma.
Perché la verità ha a che fare con quello che resta, con quanto è stabile e resistente nella nostra vita; si riferisce a ciò che rimane mentre tutto passa e sfugge. Parlare di verità non significa porsi domande assurde o surreali ma affrontare la questione della permanenza, di ciò da consistenza e resistenza alla nostra vita, di ciò che struttura la nostra esistenza, di quanto è durevole, affidabile e promettente.
Ciò che sta andando in scena a Verona è in fondo una rappresentazione quasi plastica di un certo modo di intendere il nostro rapporto con la verità. Qual è la natura della verità? La verità ha le sembianze del dogma, dell’assioma, del principio assoluto ed inderogabile? O la verità ha una natura intrinsecamente dialogica, relazione, dinamica e progressiva?
La verità assume i tratti dell’esclusione, della demarcazione, della logica dentro-fuori, pro-contro, giusto-sbagliato o è qualcosa di inclusivo, di partecipativo, di un percorso da fare insieme, di una ricerca da effettuare a più mani?
La verità è qualcosa da brandire come una clava contro chi a questa legge non si attiene o ha in sé un potere accogliente e comprensivo? La verità serve per alzare muri o per creare ponti?
E poi: la verità la circoscriviamo al perimetro angusto delle nostre povere idee, al limite stretto dei nostri pensieri, come una proprietà gelosa ed esclusiva? Oppure la verità è per sua natura eccedente, esuberante, qualcosa che non sopporta le gabbie dei nostri schemi spesso gretti ed interessati?
Insomma: la verità è qualcosa che possediamo o qualcosa che ci sta sempre davanti, qualcosa da ricercare ed incontrare, da accogliere ed implorare, da scoprire e promuovere? Ci possiamo accontentare delle nostre piccole verità oppure metterci alla sequela della Verità, quella con la V maiuscola.
Possiamo chiuderci dentro la fortezza delle nostre convinzioni oppure scegliere il percorso faticoso ma liberante che ci spinge a andare, ad iniziare un pellegrinaggio che non sappiamo esattamente dove ci porterà.
Possiamo pretendere di possedere la verità oppure lasciarsi sorprendere da essa, come una meraviglia sempre nuova ed imprevista, liberante ed inaspettata.
Possiamo misurare gli altri secondo il metro, assai corto, delle nostre verità, oppure sperimentare la gioia dell’incontro con la verità di cui l’altro è voce, con la verità che egli testimonia nella sua vita. Con la verità che, in fondo, è il mistero della sua persona.