Dicono che il tempo guarisca tutto, che riempia ogni fossato, che plachi ogni sofferenza. Si, a volte il tempo agisce davvero con un dolce balsamo capace di alleviare il senso di vuoto, di sopire il dolore, di lenire un patimento.
Il tempo che scorre però è anche capace di scavare fossati ancora più profondi e di alzare muri sempre più insuperabili: il passare dei giorni e dei mesi talvolta funziona come un amplificatore del patimento, come un moltiplicatore della pena e del fastidio. Accade un po’ come le erbacce che lasci crescere nel giardino: il tempo le rende sempre più rigogliose e radicate, più floride e difficili da estirpare. Quando un dolore, una inquietudine o una ferita restano aperte per troppo tempo si genera una sorta di cancrena che rende quella piaga sempre più purulente e difficile da sanare.
Penso ad esempio a quei legami interrotti un po’ bruscamente e violentemente: non è detto che la lontananza temporale porti a una riappacificazione o ad una riconciliazione. Anzi talvolta il tempo che scorre getta sale sulle ferite, esacerbando le menti ed incattivendo gli animi.
Mi viene da pensare che talvolta l’attesa è una buona strategia, altre volte proprio no; in alcune occasioni lasciar placare gli animi porta maggior lucidità mentale, ma ci sono pure situazioni in cui il rancore è come la gramigna della mia aiuola: con il tempo cresce e si diffonde.
Occorre molta saggezza per capire il tempo della battaglia e quello dell’attesa, quello in cui è meglio affrontare di petto il nemico e quello in cui è opportuno temporeggiare. Come molto spesso nella vita, anche nei legami, il segreto è spesso una questione di tempo e di tempismo.