Le parrocchie si stanno organizzando per il prossimo ritorno alle messe: a partire dal 18 maggio sarà possibile riprendere – entro certi limiti – le celebrazioni ed in particolare quella eucaristica. Sento di parrocchie che stanno predisponendo elenchi per l’iscrizione, alcune useranno delle app, alcune ancora altri sistemi per garantire una partecipazione ordinata. Qualcuna penso si affiderà semplicemente all’ordine di arrivo. È infatti evidente che solo un piccola parte della grande comunità eucaristica potrà tornare a celebrare, giacché spazi e tempo saranno contingentati.
Capisco benissimo queste necessità organizzative: date le condizioni esterne, esse sono necessarie e personalmente non saprei immaginare soluzioni differenti o più intelligenti.
Tuttavia confesso che questa modalità di partecipazione mi lascia grossi dubbi: mi chiedo se davvero sarà possibile celebrare in queste condizioni. Mi interrogo se la messa debba essere celebrata “a qualunque condizione” o se i limiti imposti dalla situazione sanitaria non rischino di snaturare l’evento celebrativo e renderlo qualcosa che non è.
Le attuali norme per accedere alla celebrazione liturgiche di certo garantiscono la dimensione individuale, in quanto a ciascuno anzitutto è consentita la partecipazione e – cosa non da poco – che questa avvenga in modo sicuro e protetto. Anche la dimensione sociale è stata assicurata poiché il distanziamento tra le persone, la pulizia e l’igiene rendono le chiese luoghi sicuri e protetti.
Il punto, secondo me, è che la messa non è né un fatto (solo) individuale né (solo) sociale ma primariamente un evento comunitario. Ed è proprio questa dimensione comunitaria che vedo fortemente compromessa adottando questo stile celebrativo.
L’eucarestia non è uno spettacolo a cui assistere ma un evento a cui partecipare, una esperienza che afferisce ad una comunità umana, alle sue relazioni effettive ed affettive, ai vincoli che strutturano i legami. Mangiando dello stesso pane quella comunità diviene un solo corpo, corpo mistico di Cristo, per essere segno di unità per tutti gli uomini.
Come espliciteremo queste dimensioni costitutive dell’eucarestia restando a distanza, evitando i contatti, percependo il fratello che mi siede accanto come una minaccia ed una possibile fonte di contagio? L’eucarestia è intrinsecamente contagiosa, perché è fatta di riconoscimento e accoglienza, contatto e condivisione, di comunione e fraternità.
Siamo certi che “come” celebreremo non rischi di tradire “ciò” che celebreremo? E che si crei uno iato tra parola e gesto, tra ispirazione e comportamento, tra corpo mistico e membra separate?