Non ci sono dubbi: quest’anno la sagra sarà diversa dagli altri anni. Sarà una sagra “strana”, forse unica nella recente storia della nostra comunità. Dobbiamo andare indietro di molti decenni per ricordarne un‘altra simile. Sarà una sagra di ringraziamento in compagnia del virus che, in diversi modi, condizionerà le nostre celebrazioni, le nostre usanze e tradizioni.
Sarà una sagra in tono minore, senza il classico luna park, senza il ritrovarsi numerosi il pomeriggio attorno alle giostre o alle bancarelle; una sagra senza eventi e celebrazioni solenni, senza assembramenti e ritrovi; addirittura una sagra senza il classico pranzo in famiglia insieme a parenti e amici, in cui tagliare la torta e rivedere quello zio e quel cugino che incontriamo solo in questa occasione. Anche per i nostri figli sarà una sagra senza autopiste e calcinculo, senza zucchero filato o barattoli da far cadere, senza gettoni da comperare e giri gratis da “scroccare” agli amici.
Sarà una sagra diversa non solo per quello che accade attorno a noi ma anche per quel piccolo mondo che ci portiamo dentro. Non appena superata la superficie un po’ ingenua e consumistica, ci accorgiamo che la sagra è anche un tempo per dire grazie, per onorare la vita delle molte cose che ci ha donato. È esattamente quello che facevano i nostri nonni, i quali, in questa occasione, al termine del tempo del raccolto, riconoscevano la gratuità di quanto avevano avuto e di questo rendevano grazie.
Confesso che non è per niente facile “dire grazie” in questo tempo così difficile e, per molti versi, doloroso; la parola “grazie” non sgorga spontanea dalle nostre labbra, non affiora naturalmente dal nostro cuore, giacché, appena ci guardiamo attorno, non fatichiamo a scorgere motivi di preoccupazione e di allarme, di tristezza e di mestizia: molte persone ci hanno lasciato, molte altre stanno combattendo la loro battaglia contro il virus; l’epidemia sta avanzando a passo celere e non sappiamo esattamente se ci costringerà ad un nuovo lockdown; e poi c’è l’impatto economico della crisi, con molte attività commerciali in difficoltà, cassa integrazione e posti a rischio. Tutto parrebbe suggerire che, forse, almeno per quest’anno, potremmo lasciare la parola “grazie” chiusa in un cassetto, pronta per più liete occasioni. Quest’anno, se fossimo seri e razionali, la sagra sarebbe da bandire, cancellare, rimuovere dal calendario, togliere dalla memoria.
Pensavo però a mio nonno, contadino di professione e mungitore per vocazione, che viveva del frutto della campagna con il quale sosteneva non solo la propria vita ma pure quella della moglie e della due figlie e, se ce n’era bisogno, pure di qualche famiglia della corte particolarmente in difficoltà. E con lui pensavo a tutti i suoi compagni di ventura, gente semplice che coltivava la terra, faceva qualche lavoretto artigianale, che gestiva una piccola bottega, come l’altra mia nonna, gente che viveva “di provvidenza”, nel senso che non aveva assicurazioni o fondi fiduciari per i tempi grami, che era esposta alle intemperie della vita e ad ogni temporale che il cielo mandava su questa terra. Pensavo a lui, alla sua vita sempre sul “filo di lana” e alla sua “passione per la sagra”, forse, dopo il Natale, l’evento più importante da celebrare. Ti era concessa qualche assenza a Pasqua ma la sagra no! L’appuntamento attorno alla sua tavola era un evento sacro, irrinunciabile, oserei dire fondativo e sorgivo della nostra identità famigliare.
Eppure chissà quante annate saranno andate storte, quanti raccolti perduti e rovinati dalla grandine, quanta siccità o carestia, quanta amarezza per il lavoro perduto e la fatica di dover “fare san martino”. Ciononostante la sagra nelle nostre terre si è sempre celebrata, sia nelle annate buone sia in quelle cattive, sia quando il raccolto era abbondante sia quando era assai scarso, sia quando si poteva guardare all’inverno entrante con una certa sicurezza economica, sia quando non si sapeva se ci sarebbe stata della polenta da mettere in tavola il giorno dopo.
Pensateci: ci provoca questo pensiero, ci stuzzica a rivedere le nostre posizioni, a rivalutare i nostri giudizi, spesso troppo avventati e superficiali. È vero: i tempi non sono buoni, il futuro è incerto, la nostra comunità rischia di essere ancora messa a dura prova, eppure, se ciascuno guardasse nel fondo della propria esistenza, un piccolo, magari minuscolo, motivo per dire grazie credo lo troverebbe. Certo occorre tenacia e pazienza e la voglia di oltrepassare la coltre dei nostri capricci e risentimenti.
Scriveva Walt Whitman (citato dal prof. Keating ne “L’attimo fuggente”) “O me o vita, domande come queste mi perseguitano. Infiniti cortei di infedeli. Città gremite di stolti. Che v’è di nuovo in tutto questo, o me o vita.” Risposta: “Che tu sei qui, che la vita esiste, e l’identità, che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso. Che il potente spettacolo continua e che tu puoi contribuire con un verso.”
Forse in questa sagra così strana ci è chiesto di andare alla ricerca di ragioni più nobili e consistenti per dire grazie, motivi resistenti, buoni anche in tempo di pandemia. Forse il grazie potrebbe affiorare sulle nostre labbra perché siamo vivi, perché l’aurora del nuovo giorno ci ha donato altre ore da vivere e da abitare; potremmo ringraziare che abbiamo qualcuno attorno a noi che si prende cura di noi, che sopporta le nostre fatiche e ci incoraggia nelle nostre cadute; forse potremmo tornare ad apprezzare di poter correre, camminare, parlare e ascoltare, contemplare il cielo ed i monti ed ascoltare una sinfonia di Bach; magari il ringraziamento potrebbe nascere per gli amici che ci stanno accanto, per i colleghi che ci apprezzano, per coloro che condividono con noi “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” della nostra esistenza. Pensate sia tutto dovuto? Davvero abbiamo la supponenza di ritenere che qualcuno di noi abbia crediti da rivendicare verso la Vita affinché ci debba garantire tutto questo?
Ecco: questa sagra “sotto tono” può diventare una sagra “dal tono giusto”, in cui riconoscere e apprezzare quanto la vita, silenziosamente e gratuitamente, ci concede tutti i giorni. Quest’anno il grazie non nasca per il premio ricevuto o per la promozione, per la macchina nuova o per il magazzino pieno. Quest’anno il nostro sguardo non si posi sulle cose “eccedenti” che la vita continuamente ci dona, bensì su quelle più ovvie e scontate, ma che ovvie e scontate non sono per niente. La sagra quest’anno sia la celebrazione ed il ringraziamento per quello che siamo, per le relazioni che abitiamo, per gli affetti che ci tengono in vita, per i gesti di solidarietà che in questi mesi ci siamo scambiati, per la fortezza e la determinazione che ci ha reso una comunità unita e premurosa. Sì! La sagra sia un grazie stupito per la bellezza che anche oggi si nasconde nelle pieghe della vita!
questo mio articolo è stato pubblicato sul numero di ottobre di LodivecchioMese