tempesta di sabbia

A breve taglieremo il triste traguardo dell’anno da quando tutto questo caos è iniziato: era il febbraio di un anno fa quando i primi casi di contagio venivano diagnosticati a Codogno, aprendo un periodo di pandemia nel quale siamo ancora tutti immersi. Dodici mesi lunghi e tristi, con brevi e fugaci finestre di normalità, intervallate da infiniti periodi di reclusione, isolamento e prigionia. Sono stati giorni e giorni di stasi, di rallentamento in tutte le attività, quasi un tempo sospeso in cui la normalità di tutti i giorni è stata interrotta da una quiete irreale e faticosa.

Eppure, ho sempre più l’impressione che sotto la bonaccia del mondo, la vita stia scorrendo intensa e gagliarda, per nulla intimorita dalla sosta imposta dal virus. L’esistenza scorre un po’ come quei fiumi carsici che fluiscono nella profondità della terra, pronti a riaffiorare in superficie non appena sarà concessa loro l’occasione. Fuori di metafora, se è vero che la vita è stata in qualche modo rallentata e paralizzata nella sua dimensione sociale, quella che sgorga nello spazio intimo dell’interiorità ha subito, forse per contrappasso, una decisa accelerazione: fuori tutto è fermo ma dentro di noi le cose vanno in modo assai diverso, in un movimento di cambiamento, crescita e conversione.  Se è vero che, speriamo a breve, riprenderemo tra le mani le cose frettolosamente abbandonate un anno fa, è altrettanto vero che il tutto sarà profondamente diverso: non perché le situazioni, ad un anno di distanza, saranno cambiate, ma perché saremo cambiati noi.

Più parlo con le persone più mi convinco che quest’ anno è passato come un uragano nel cuore della gente, come una di quelle bufere che spazzano via tutto, cose e persone, e che esigono, dopo il loro passaggio, una paziente opera di ricostruzione. Non so se, come molti dicono, nulla sarà più come prima, ma di una cosa sono sicuro: noi non saremo più come prima, perché quest’anno, nel bene e nel male, ci avrà segnato, lasciando profonde cicatrici nella nostra anima e nei nostri sensi, oltre che sui nostri corpi. Scrive Gramellini sul Corriere di qualche giorno fa: “Quando tutto il mondo avrà fatto il vaccino (…) ci sentiremo come chi è reduce da un grave incidente. (…)  Anche a noi toccherà reimparare (o imparare tout court) ad avere fiducia negli altri, e prima ancora in noi stessi”.

Penso che prima ci convinceremo che ci sarà un trauma da rielaborare, dei gesti da rieducare e una nuova normalità da recuperare, prima propizieremo il nuovo inizio che ci attende. Confesso che trovo un po’ ridicoli, e talvolta patetici, i tentativi di alcuni che s’illudono di “rimettere in moto la macchina” come se si fosse fermata per un piccolo guasto trascurabile, come se bastasse una revisione veloce per rimetterla in strada. Temo che, ahimè, la macchina non riprenderà la sua corsa, non perché il danno è serio, ma perché il guidatore avrà cambiato sguardo, meta e direzione.

Scrive Haruki Murakami “E naturalmente dovrai attraversarla, quella violenta tempesta di sabbia. (…) Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato. Sì, questo è il significato di quella tempesta di sabbia”.

Questo mio articolo è stato pubblicato su LodiVecchioMese di Gennaio


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