Si va a scuola per imparare, per conoscere cose nuove, per apprendere nuovi nozioni e nuovi concetti… è vero.. non va trascurato questo aspetto. C’è in giro molta ignoranza, molta incapacità di conoscere alcuni elementi basilari della nostra storia e della nostra cultura, un analfabetismo di ritorno che preoccupa e che alimenta una convivenza rozza, primitiva, spesso violenta. Qualcuno ha scritto che siamo come nani che camminano sulla spalle di giganti e imparare qualcosa da questi giganti certamente rende il nostro viaggio meno approssimativo, inconsapevole, e in fondo, meno confuso. Ho imparato, con l’età, a non trascurare questa dimensione “nozionistica” della conoscenza: per imparare ad usare criticamente un cacciavite, serve anzitutto possederlo e saperlo prendere in mano. Così come per esprimere la propria creatività artistica e pittorica occorre conoscere almeno come impugnare un pennello, come mescolare i colori, come stenderli sulla tela. Fuori di metafora: c’è un sapere necessario (anche a rischio di nozionismo) che è bene possedere e che rappresenta un importante prerequisito per ogni ulteriore conoscenza.
Si va a scuola per acquisire delle competenze, delle capacità, delle abilità: saper leggere un testo, comprendere un articolo di giornale, possedere delle nozioni basilari della scienze e della tecnica. Le discussioni attorno al vaccino hanno mostrato quanta ignoranza scientifica ci sia in circolazione e come un po’ di sapere scientifico ci permetterebbe di affrontare la vita un po’ più attrezzati. La conoscenza ha sempre una dimensione pratica, un’esigenza di applicazione di quanto appreso nelle cose concrete della vita. Un sapere che non diventi prassi, che non si traduca in azioni, gesti, movimenti, comportamenti ed atteggiamenti rischia di restare astratto, e, a ben vedere, irrilevante. In questo senso si va a scuola anche per trovare un lavoro, per maturare una professionalità, per acquisire competenze che permettano di apprendere un lavoro e così partecipare alla costruzione della società e del mondo.
Eppure imparare cose nuove e maturare delle competenze, per quanto obiettivi essenziali, mi pare non esprimano ancora il cuore del motivo per cui mandiamo i nostri figli a scuola. Forse si va a scuola non solo per conoscere cose ma per conoscere se stessi. Forse si va a scuola non solo per trovare un lavoro ma per ritrovare se stessi. È la parte più genuinamente umanistica del nostro sapere e, diciamocelo, quello in cui la scuola italiana ha qualche carta in più da giocare.
Si va a scuola per diventare pienamente uomini, per comprendere meglio se stessi, per essere in grado di interpretare la storia, gli eventi, i fatti. Si va a scuola per maturare uno spirito critico, per guadagnare quei piccoli o grandi mattoncini con cui costruire la propria esistenza. Si va a scuola per essere capaci di meraviglia quando si ammira un tramonto o per trovare le parole per raccontare il primo bacio che abbiamo ricevuto. Si va a scuola per dare un nome a quello che sentiamo, per trovare ragioni ai nostri pensieri, per capire meglio chi siamo e chi stiamo diventando.
Non si va a scuola per avere o per possedere. Si va a scuola per essere. Più sapienti, più veri, più umani.