Sette nuove piccole pietre di metallo da stamattina giacciono davanti al municipio della mia città. Sono piccoli cubetti dorati che portano incisi in nomi di coloro che molti anni fa sono stati strappati dagli affetti della nostra piccola comunità locale e deportati a morire in lontani lager della morte.
La sensibilità di Federico, giovane consigliere delegato alla cultura, e dell’intera amministrazione comunale, hanno voluto onorare in questo modo la memoria di quei nostri concittadini che hanno subìto una sorte tanto atroce ed inumana. È un ricordo doveroso, giusto, necessario di questi tempi in cui il senso della memoria sta morendo insieme ai testimoni diretti di quegli eventi ed in cui una certa cultura revisionista tende a minimizzare la tragedia immensa che ha travolto l’Europa alla metà del secolo scorso.
Li chiamano Stolpersteine, pietre di inciampo: sono piccoli blocchi quadrati di pietra (10×10 cm), ricoperti di ottone lucente, con inciso il nome, l’anno di nascita, il giorno e il luogo di deportazione e la data della morte. Vengono di solito poste dinanzi alle abitazioni da cui i deportati vennero presi o arrestati. Sono oggi più di settantamila questi piccoli segni della memoria sparsi in moltissime città del Vecchio Continente.
Il nome, di biblica memoria (e come potrebbe essere diversamente, considerando che moltissimi di quelle vittime erano appartenenti al popolo dell’Alleanza?) contiene in sé il senso di questo gesto che di eclatante e sensazionale ha decisamente ben poco: essere una piccola e mite provocazione, tale da rappresentare un inciampo, un imprevisto o un incidente emotivo e mentale. Chiunque, da oggi, entrerà nella casa della comunità, quale è il Municipio, se avrà la delicatezza e la cura di abbassare gli occhi a terra, incontrerà con lo sguardo quelle sette lastre lucenti ed i sette nomi sui di esse incisi. Sarà un gesto semplice, innocuo, per molti addirittura inutile o vano. Eppure, per chi avrà orecchi per sentire ed occhi per vedere, quelle piccole pietre rappresenteranno un appello a non dimenticare, a custodire la memoria, a non scivolare in un oblio che tutto ingoia e travolge.
La forza di quei cubetti di pietra sta, forse, tutta nella evidente umiltà (sono poste a terra, a contatto con l’humus…) che le contraddistingue: non sono ingombranti monumenti o testimonianze voluminose, ma innocue pietre collocate sulla pavimentazione, accanto a molte altre anonime e volgari. A ben vedere, nessuno inciamperà mai di fronte a loro: non sporgono, non impedisco il cammino, non fanno sgambetti, non ostacolano la passeggiata. Eppure quanta forza nascosta custodiscono, quanto vigore, quanto dolore straziante e cruenta provocazione!
Esse chiedono, anzi gridano, attenzione, rispetto, cura, riflessione, memoria. Stanno lì, miti e nascoste ai piedi del municipio, per ammonire tutti noi al gesto nobile, ma poco frequentato, della riconoscenza, della grata memoria, dell’appassionato riconoscimento.
Esse dicono “mai più!” senza fare alcuno discorso, senza elucubrare una teoria o una filosofia. Solo attraverso pochi dati anagrafici, esse raccontano una storia, narrano un dramma, testimoniano un evento. Quello di coloro che sono morti a causa di una ideologia assurda ed atroce; quelli che hanno subìto umiliazioni e dolori che mai dovrebbero essere; quella di chi ha pagato con il sangue il prezzo della nostra libertà.