vizi e virtù

Come usciremo da questi tempi faticosi e bui? Dopo una pandemia mondiale anche una guerra inattesa e feroce viene a minare la nostra speranza verso il futuro. All’iniziale ottimismo che confidava che da questo tempo di prova ne saremmo di certi usciti migliori, ecco soggiungere una percezione più moderata e realistica che il bene non è un dato scontato, il miglioramento non ha nulla di automatico e naturale e che la ripresa non rappresenterà necessariamente un passo avanti per la nostra vita. Nasce da questo interrogativo e da questo dubbio esistenziale la mostra “Vizi e Virtù” allestita presso il Conventino dall’associazione culturale “I Ricci”.

È singolare questo fatto: incertezza per il futuro ci spinge a rispolverare parole antiche e un po’ desuete, che pensavamo appartenessero ad un bagaglio ormai dimenticato in soffitta e coperto da tre dita di polvere. I vizi e le virtù sono parole che appartengono ad un’altra epoca, ad una riflessione morale che intendeva indagare il cuore dell’uomo per scoprire quanto vi fosse di buono e di malvagio dentro di sé. Forse la provocazione dei Ricci intercetta questi antichi vocaboli riscoprendone una vitale rilevanza anche per l’oggi: non saranno le prove a renderci automaticamente migliori, se ad esse non sapremo rispondere con comportamenti ed atteggiamenti virtuosi. Tommaso ci ricorda che le virtù sono delle disposizioni naturali dell’animo a compiere il bene, degli “habitus”, delle abitudini, secondo il pensiero dell’aquinate. La domanda allora non è: “saremo migliori?” ma: “sapremo essere virtuosi?”, vincendo quei vizi che mortificano la nostra umanità pienamente liberà e feconda?

Il percorso, suggestivamente ospitato dalle brulle mura in mattone a vista del Conventino, si articola in diverse sezioni a piano terra e al piano superiore. Il piano terra offerte approfondimenti monografici a loro modo sofisticati e suggestivi: artisti di chiara fama offrono un loro personale contributo alla narrazione con pezzi e oggetti di varia fattura e grazie ai quali la proposta artistica segue tangenti ricche e stimolanti. Dioniso Urban per il vizio della lussuria, Regina Queen, De Liguoro e It’s Milly per il vizio dell’invidia, Valerio Brambilla, Claudia Reccagni e De Liguoro per la superbia

La bella esposizione al piano superiore invece segue un percorso più “tradizionale” ed, in certo qual modo, convenzionale, in cui ai ragazzi della 3A della Don Gnocchi è affidato il racconto delle virtù della prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza mentre nel salone centrale un variegata raccolta di oggetti artistici indaga il complesso mondo dei vizi.

Non è difficile per il visitatore lasciarsi interpellare dalle intuizioni che animano le opere esposte nel salone principale: certo c’è la mano abile dell’artista, capace di cogliere quell’elemento, di intercettare un vissuto, di catturare una sensazione o un concetto sulla tela; ma forse, prima di tutto, c’è la forza immediata di quelle debolezze che ci parlano con naturale espressività. Se di fronte alle virtù ci sentiamo tutti un poco impacciati ed in difetto, l’esperienza dei vizi è qualcosa di assai più vicino e tangibile nella nostra vita. In fondo, chi di noi non ha sperimentato, nelle proprie giornate, il piglio  della superbia, la tentazione dell’avarizia, la lusinga della lussuria, il capriccio dell’invidia, il richiamo della gola, la forza dell’ira o la passione triste dell’accidia?

La vitalità dell’arte consiste proprio nella capacità che ogni espressione artistica possiede di raccontare quello che ci si muove dentro, di restituirci un intuizione che getta nuova luce su quello che viviamo talvolta in modo anonimo ed irriflesso. Così come fa, uno sui tanti di cui si potrebbe parlare, Linda Gerlini attraverso una sua suggestiva foto dal titolo “gola”: una meringa a forma di fungo posta nel terreno su sfondo scuro allude alla seduzione del cibo, oggetto del piacere e alimento potenzialmente velenoso, bramato da tre dite che lo sovrastano e che grondano desiderio. Ecco dunque che il cibo è nutrimento e veleno, vita e morte, in questa dialettica irrisolta che l’artista volutamente non scioglie nella sua opera.

Se la precedente mostra de “I Ricci” ci offriva un viaggio nelle vicende della vecchia Laus, ora il percorso si fa più personale, quasi intimo direi, alla scoperta non dei fatti storici accaduti secoli fa ma di quei moti interiori che animano tuttora il nostro spirito, di quelle passioni, sane o distruttive, che muovo l’uomo di oggi, come quello di sempre.

In fondo è lo specchio appeso in fondo alla sala e che il visitatore incontra alla fine del percorso della mostra, la chiave di volta del viaggio che l’arte ci invita qui a fare. È l’invito a guardarsi dentro, ad indagare la propria interiorità, a sondare il proprio spirito, mossi dalla domanda “Tu di che vizio sei?

Questo mio articolo è stato pubblicato sul numero di Marzo di LodiVecchio Mese


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