benvenuta new gen

Talvolta per incontrare il guizzo dell’ingegno non devi cercare tra i nomi famosi dell’arte, tra i capolavori della creazione artistica, ma è sufficiente visitare, molto più modestamente, una di quelle mostre che trovi “sotto casa”. Capita così che, nell’autore esordiente, ti imbatti in qualcosa capace di catturare la tua curiosità.

Mi è capitato qualcosa di simile con questa opera di Luca Fiorani, esposta alla mostra “Vizi e Virtù” organizzata dall’associazione “I Ricci”. L’autore esprime il vizio dell’accidia con questa singolare opera su vetro, raffigurante un giovane di oggi, ridotto ad uno scheletro sulla propria poltrona, circondata da una vasta gamma di mezzi di comunicazione e di divertimento. Il titolo dell’opera è “Benvenuta Next Gen” (anche se l’artista si diverte a scriverlo con caratteri un po’ particolari).

Ci spiega la Treccani che l’accidia è una forma di “inerzia, indifferenza e disinteresse verso ogni forma di azione e iniziativa”. Chiosa Umberto Galimberti: l’accidia è “la condizione che caratterizza molti giovani del nostro tempo, afflitti da assenza di interessi, monotonia delle impressioni, sensazioni di immobilità, vuoto interiore, rallentamento del corso del tempo”.

Luca Fiorani trova un modo suggestivo per rendere tutto questo, dimostrando di cogliere un nodo centrale di questo sentimento triste e deprimente: l’utilizzo del vetro. L’indifferenza, la noia, l’apatia è proprio quel sentimento che rende il mondo “trasparente”, invisibile, evanescente. Gli occhi dell’ozioso sono incapaci di osservare le cose attorno a lui, sono insensibili al bello ed al brutto che lo circonda. Il suo sguardo è come se “attraversasse” la realtà senza saper cogliere nulla e nessuno. Chiunque abbia sperimentato in prima persona questo triste moto dell’animo, o abbia incontrato qualcuno che ne sia stato afflitto, riconosce qui un punto essenziale: l’accidia – oggi la chiameremmo una leggera depressione – rende tutto inutile, vuoto, scarno, inespressivo ed insensibile, proprio come una lastra di vetro.

E se da un lato l’accidia trasforma la realtà in un pezzo di mondo trasparente allo sguardo, dall’altra essa toglie al soggetto che ne soffre tutta la sua sensibilità. Chi è colpito dalla noia, perde la propria sensibilità, la capacità di farsi toccare e coinvolgere dalle cose, dalle parole, dagli accadimenti e dalle persone. Egli diviene, appunto, uno scheletro seduto su una poltrona, un uomo a cui è stata sottratta la pelle e la carne, ossia quelle parti di noi che ci rendono essere sensibili e ricettivi.

Ecco quindi che, nel linguaggio dell’arte, quello scheletro dipinto sul vetro, diviene il racconto di una condizione oggi sempre più diffusa e pericolosa, non solo per la “new gen” ma per ogni essere umano che vive su questa terra.

In fondo, se ben ci pensate, l’arte serve proprio a questo: a tenere accesi i sensi, ad educare le nostre percezioni delle cose, ad attivare quei pori della nostra pelle che rischierebbero di chiudersi irrimediabilmente sul mondo.


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