Tra le tante notizie tristi e talvolta drammatiche di questi giorni, una merita di essere ricordata. Parla di Oksana e Victor, lei giovane infermiera ucraina di 23 anni di Lysychansk. Durante un attacco russo, Oksana ha perso entrambe le gambe e quattro dita della mano sinistra. La notizia non è questa però.
Il fatto memorabile è che Oksana e Victor hanno deciso di sposarsi nell’ospedale di Leopoli, dove la donna si trova dopo essere stata sfollata da Dnipro per continuare le cure. Sui media è rimbalzato il video del loro ballo da novelli sposi: lei abbracciato al marito e sostenuta dalle sua braccia in mezzo agli applausi degli altri pazienti e dei pochi amici presenti.
È un video di gioia quello a cui si assiste: frammenti di vita in un contesto violento di morte, una piccola isola di felicità dentro il tunnel spaventoso della guerra. La vedi volteggiare dolcemente sostenuta dal marito ed intravedi la felicità sul loro volto, la gioia per quello che hanno celebrato, la soddisfazione per averlo fatto dopo tanto tempo e nonostante tutto.
Guardo quel video e mi chiedo quanto deve essere forte l’amore tra due persone se è in grado di accendere una piccola fiammella anche nella notte più buia, se è capace di scaldare il cuore pur nel gelo più crudo ed inumano. Che cos’è quel sentimento vigoroso che ci spinge gli uni verso gli altri, che ci fa muovere, alzare, lottare, sfidare le difficoltà, affrontare le cadute, oltrepassare il limite, il dolore, la privazione e la solitudine? Quanta è profonda la parola amore se neanche una guerra è in grado di spegnerne il grido, di sopirne il sussulto, di silenziare il desiderio di pienezza?
La vita brama, desidera, anela oltre se stessa, oltre le barriere che essa incontra, oltre gli ostacoli che trova sul cammino. La vita invoca altra vita, ambisce l’oltre, sospira l’infinito e desidera quella pienezza che solo nell’abbraccio tenero dell’altro sperimenta un punto di approdo.