“Vi sono molti misteri al mondo ma nulla è più misterioso dell’uomo”: apre così il primo coro dell’Antigone di Sofocle. Tra le mille stranezze che possiamo incontrare su questa terra, l’uomo è senza dubbio la più strana di tutte. In cosa consiste questo mistero? In che senso l’essere umano è meraviglioso, tremendo, prodigioso, secondo altre traduzioni dello stesso testo?
Vi è una dimensione tipicamente umana che penso possa aprire ad una comprensione più ampia e veritiera di questo mistero della nostra umanità: la dimensione del desiderio. Ciascuno di noi è un essere desiderante: desiderare è ciò che fa di noi esseri della specie sapiens sapiens. Ogni nostra azione, ogni nostro pensiero, ogni nostro sentimento è animato da un desiderio, da una aspirazione, da un ardore: desideriamo cose concrete (una vacanza, un buon pasto, i soldi, la salute, una promozione, il sesso…) ma i nostri desideri spaziano anche su cose meno materiali, sicché ci troviamo a bramare il riconoscimento, la stima, l’apprezzamento, il successo, il potere, la gloria. Forse smetteremo di desiderare nell’istante in cui chiuderemo per sempre gli occhi su questa terra: fin ad allora il desiderio apparterrà alla nostra vita proprio come fa il respiro ed il battito del cuore.
Eppure, se solo facciamo un attimo di attenzione ai nostri desideri, ci accorgiamo subito che nessuna “cosa” è in grado di soddisfare per sempre la nostra fame: l’i-phone nuovo ci dà gioia per qualche giorno, l’auto nuova per qualche settimana; l’aumento di stipendio ci eccita per qualche mese ma, presto o tardi, scopriamo che il nostro desiderio si rimette in movimento, mai pago, mai davvero soddisfatto. Lacan descrive magistralmente questo fatto quando afferma che il nostro desiderio è sempre desiderio di qualcosa di non nominabile: non perché non siamo in grado di trovare un nome per l’oggetto del nostro desiderio, ma perché esso è un “mistero”, non appartiene alle cose che possiedono un nome, uno spazio ed un tempo. È esattamente quella cosa che Agostino, molti secoli prima, definiva l’inquietudine dell’uomo: l’uomo è inquieto, sempre affamato, bramoso di altro e di ancora.
Proprio questa esperienza inquieta del desiderare ci illumina su un tratto essenziale della nostra umanità: noi siamo, allo stesso tempo, qua e altrove, siamo perennemente dislocati tra l’ora e l’oltre, tra il “qui” ed il “là”. L’uomo vive questa tensione irrisolvibile, tra il vivere il presente ed essere proiettato nel domani, tra l’abitare l’oggi e vivere la nostalgia del passato e l’apertura del futuro. Che esseri strani che siamo! Siamo costretti ad abitare in questa faticosa irrequietezza, in questa agitazione esistenziale, in questa opposizione che non ci dà pace.
Non è banale uscire da questa dialettica: chi ha tentato via di fughe e scorciatoie non è poi andato molto lontano. Da una parte infatti possiamo scegliere di cancellare il desiderio dell’oltre, richiudendoci in un “qui” dove tutto è portata di mano. È la logica antica del godimento, del piacere, del narcisismo in cui tutto ruota attorno a noi per soddisfare i nostri capricci, le nostre voglie, proprio come fa il bambino che costruisce attorno a sé un mondo di piccole soddisfazioni. Oppure possiamo rimuovere il “qui” per sbilanciarsi in un oltre che assorbe tutta la nostra vita: è l’esperienza di certi spiritualismi rarefatti, che si congedano dal mondo per ritirarsi in realtà eteree, sfuggenti, irreali. Non serve molto per comprendere che il godimento narcisistico, esattamente come uno spiritualismo alienante (direbbe Marx, a ragione) sono il tradimento della nostra qualità umana, sono la negazione di chi siamo, di quel “quid” che ci rende umani.
Il desiderio ci istruisce sul fatto che per essere uomini e per restare uomini, siamo chiamati a dimorare questo movimento trascendente, che, nell’istante stesso in cui ci colloca “qui”, ci sospinge verso l’altrove, in un continuo rimando di già e non ancora, essere e assenza, di sazietà e di fame, di vuoto e pieno, di luce ed ombre, in una danza che fa di noi “essere spirituali”, proprio perché non schiacciati dal presente, non determinati dal mondo, ma radicalmente aperti, sbilanciati, inquieti.
pubblicato su Il Cittadino di oggi.