benedetta inutilità

L’amicizia, a volte, ha il tono leggero della conversazione informale, di quelle quattro chiacchiere fatte attorno ad un bicchiere di birra, che non hanno alcuna pretesa, nessuna ambizione, se non quella di offrire un piccolo rifugio per lo spirito, un momento di sospensione dalle preoccupazioni quotidiane, un tempo di rigenerazione e di ristoro.

L’effetto benefico e balsamico sta proprio in quel “tono basso”, in quella colloquialità della parola, nel fatto che, per qualche ora, sospendi l’ethos della prestazione, della competizione e della produttività. Sì, perché accade, talvolta, che anche i nostri legami cadono vittime di questo “paradigma dei tempi moderni”: fare, raggiungere obiettivi, perseguire traguardi, in una lotta continua con noi stessi che finisce per fiaccarci ed esaurirsi.

Non c’è miglior antidoto a questo veleno mortifero che il godimento pacifico e discreto del tempo passato con gli amici, a non fare niente, niente programmi, niente piani né obiettivi, niente attese o aspettative, nulla di nulla. L’unico scopo è solo godersi il tempo di esserci, qui ed ora, come fosse una sosta lungo il viaggio, una pausa durante il cammino.

È sufficiente la presenza dell’altro, il suo sedersi attorno allo stesso tavolo, il ricevere e donare attenzioni, fare una battuta, una risata, scambiarsi una preoccupazione ed una gioia… insomma sta tutto lì, inutile domandare altro o cercare altrove.

L’amicizia è capace di regalarti momenti talmente “normali” ed “inutili” grazie ai quali ti rieduchi al senso dell’utilità delle cose.


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