Il senso di responsabilità che proviamo verso gli altri può essere un sentimento ambivalente: se da una parte esso esprime la cura e l’attenzione che sentiamo per gli altri e l’affetto che ci lega a loro, dall’altro esso rischia di nascondere una volontà di controllo e di potere che può essere subdola. Infatti talvolta il senso di cura e di premura che sentiamo per coloro che amiamo può essere un modo velato e apparentemente meritorio attraverso il quale tendiamo ad avere sotto controllo le cose, di smussare ciò che ci genera preoccupazione ed ansia e così “influenzare” ciò che ci sta attorno.
Dobbiamo fare attenzione quando proviamo una esigenza esagerata di cura verso le persone: può essere che questo sentimento sia mosso da un nostro bisogno di avere “tutto sotto controllo”, che dietro questa positiva attenzione per l’altro ci sia la nostra incapacità o difficoltà ad accettare gli spazi di libertà degli altri, i loro ambiti di indipendenza, in cui ciascuno può sperimentare il peso e la bellezza della propria libertà e della propria responsabilità.
Un po’ come quelle mamme un po’ troppo apprensive che impediscono ai figli di muovere i primi passi nella paura che essi, cadendo, possa ferirsi. È una apprensione negativa quella che limita i gradi libertà del figlio, inibendo la sua esplorazione del mondo e la maturazione di una sana indipendenza. La stessa dinamica temo che talvolta si insinui nelle nostre pretese di “sentirsi responsabili” per gli altri: se osserviamo bene in controluce, in quel sentimento potremmo intravedere una venatura di egoismo. Stiamo proteggendo noi stessi dalla frustrazione di vedere qualcuno fallire, dalla difficoltà a gestire le nostre emozioni e quel senso di impotenza che quel fallimento ci fa nascere dentro.
È in fondo una forma di autodifesa, una reazione che, benché assolutamente comprensibile, può tradursi in un guinzaglio un po’ troppo stretto per l’altro.