Esiste un altro mondo all’interno del nostro mondo, un’altra città dentro le case e le strade della nostra città. È quasi un mondo a sé, un po’ dimenticato, un po’ rimosso, dove i ritmi di vita, lo stile ed i valori che valgono “fuori” lì “dentro” perdono di significato e di consistenza. Quando varchi le porta di questa città nella città, quando ne attraversi le mura, ti accorgi che sei entrato in un “altrove” che dà come un senso di straniamento. Ti ritrovi, tuo malgrado, in una terra straniera, in un luogo austero e sobrio, dove i gesti, le parole e gli eventi assumono un coesistenza diversa da come sei abituato. Questi mondi-a-parte sono gli ospedali, luoghi di malattia e di sofferenza, di cura e di guarigione, dove abita un singolare umanità dolorante che viene come strappata bruscamente al procedere “normale” della vita e lì segregata in quella strana bolla esistenziale che cade sotto il nome di “degenza”.
Quando oltrepassi il confine di un ospedale, percepisci come una sensazione di nudità: quelle difese che nel mondo esterno ti riparavano, ti identificavano e definivano la tua identità, immediatamente cadono, si sciolgono come neve al sole. Il tuo lavoro, le tue conoscenze, la tua reputazione, così come la tua ricchezza ed i tuoi beni che “fuori” partecipano alla definizione di chi sei, cosa fai e quanto vali, ebbene tutte queste cose lì “dentro” non servono, sono moneta che non puoi scambiare né trafficare. La valuta che circola in quell’ambiente è ben diversa da quella che tieni nel portafoglio, lì valgono altre regole, altre norme di comportamento, altri stili. È come se le persone che ci dimorano tra quelle mura valutassero il mondo da un punto di vista completamente diverso, secondo una scala di valori che non ti appartiene e che fatichi a capire. I sogni e le aspettative che si vivono “fuori” non hanno diritto di cittadinanza in quel posto, di quelle ambizioni e pretese lì la gente non sa che farsene. I suoi abitanti ambiscono a cose molto più semplici ed elementari, cose talmente basilari e radicali che noi, gente del mondo, ce ne scordiamo facilmente: “dentro” si cerca la salute, una guarigione, un poco di benessere. Ed insieme a queste cose “pesanti” una serie di cose più “leggere”: una parola di conforto, uno sguardo di incoraggiamento, un tocco di vicinanza, un gesto di solidarietà e di comprensione. Tutte queste cose, ampiamente sottovalutate nel “fuori” della vita, lì trovano una loro singolare dimensione, un peso straordinario, una solidità inaudita.
In fondo dentro quella strana città nessuno cerca di avere di più… ai suoi abitanti basta non perdere quello che si ha e che si è. Aspirano solo a quello: a riaversi, a riprendersi tra le mani, a vedersi restituire la propria vita così come l’avevano lasciata prima di varcarne le porte.
Forse è proprio questa la singolare forza e ricchezza di attraversare, anche solo per qualche ora, un ospedale: è la possibilità di sperimentare quella “normalità” della vita nascosta sotto i mille affanni e preoccupazioni che ricoprono come polvere le nostre giornate, è ritornare alle cose tanti semplici da diventare banali e scontate, è riappropriarsi delle consapevolezza di chi siamo al di là e nonostante le mille distrazioni a cui la vita ci abitua.