Certi film non finiresti mai di rivederli, proprio come fanno i bambini con le fiabe, che amano farsele raccontare migliaia di volte pur conoscendole a memoria. La cosa strana è che questa ripetizione non fa perdere loro spessore o attrattiva, non li rende qualcosa di ovvio e di conosciuto…tutt’altro… ogni volta che li vedi ritrovi un vecchio amico che ti racconta nuovamente una storia diversa. Non tanto perché la trama cambi, ma perché nel frattempo sei cambiato tu, nuova vita è passata sotto i tuoi ponti, nuovi incontri ti hanno segnato, nuove parole ti hanno scavato. È come abitare parole conosciute e allo stesso tempo sempre nuove, nuovo come in fondo lo è ogni racconto, che ti rimbalza nell’anima creando sempre onde diverse, movimenti inaspettati, speciali risonanze.
Appartiene a questa mia speciale categoria il film “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno”. Sarà che l’ho visto la prima volta in un contesto particolare; sarà che, non so perché, quella storia ha sempre “parlato” alla mia vita entrandone immediatamente “in risonanza”; sarà che il film narra della forza del racconto, dell’amicizia e del coraggio; sta di fatto che “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno” è uno di quei film con cui passo volentieri qualche ora in compagnia.
Il racconto narra del fortuito incontro in una casa di riposo tra Evelyn, una casalinga di mezza età, in crisi, insoddisfatta e triste e Ninny anziana ospite della casa. Tra le due donne nascerà un profondo legame attorno al racconto che Ninny fa dell’amicizia, nata molti anni prima, tra la spericolata e selvaggia Idgie e la precisa, devota e impeccabile Ruth, nell’Alabama di inizio ‘900, ancora segnata dalla piaga della schiavitù.
È proprio nell’incrocio di queste due storie, tra continui flash back, che si sviluppa la trama. Ma le due vicende, pur distanti nel tempo, non restano confinate nella loro epoca: è proprio grazie al racconto di Ninny che il passato ed il presente dialogano e quanto accaduto ieri influenza l’oggi ed il domani. Le vicende di Ruth ed Idgie nelle parole di Ninny, la loro amicizia, il coraggio delle loro esistenze, le sofferenze che hanno dovuto affrontare e le difficoltà che hanno superato, attivano un cambiamento nella vita della triste Evelyn. Le parole di un’anziana ricoverata in una casa di riposo permettono a Evelyn di guardarsi allo specchio e di intraprendere un cammino fatto di cambiamenti, maggior consapevolezza di sé e del proprio valore.
Forse il vero protagonista di questo film non è né Ninny, né Evelyn, neppure Ruth o Idgie. No, la protagonista è la parola, o meglio la parola raccontata. Sono le parole di Ninny, il suo racconto di storie accadute decenni prima a creare l’architrave del film; sono le sue parole che raccolgono in una “narrazione” la straordinaria vita di molte persone, sono esse che sanno cucire, con un immaginario filo rosso, le vicende di tutte le esistenze che hanno animato il Whistle Stop Cafè, vicino alla fermata del treno. Il racconto sa creare storie e con esse una Storia, il racconto sa custodire il passato, sa fare emergere un senso, un significato; il racconto sa dispiegare la forza di ieri anche sull’oggi, proprio come avviene nella vita di Evelyn, che nell’amicizia di Ruth ed Idgie trova forza per aprirsi al futuro. È proprio così: la parola custodisce il passato e permette di abitare l’oggi scoprendone un senso e aprendolo al futuro.
C’è una storiella che ritorna frequentemente nel film, che affiora sulle labbra di più protagonisti, come una specie di punteggiatura del racconto, come a segnare una svolta nella vita di un personaggio, un passaggio di vita, un tornante dell’esistenza. È una storiella semplice ed ingenua ma capace di generare connessioni, di creare rimandi, nessi e raccordi. È come un mantra che suscita familiarità e consuetudine, che provoca un senso di confidenza ed intimità: sono come tutte quelle parole, magari ovvie, magari banali, che punteggiano la nostra vita, che ci danno un senso di casa, di già noto, di tradizione e di benevolenza, parole che poco dicono a degli sconosciuti ma che ciascuno di noi conserva come oasi preziose di familiarità.
“C’era una volta questo grande lago e noi ci andavamo a pescare, a fare il bagno, a remare. Un giorno di Novembre un branco di anatre si posò sul lago e la temperatura si abbassò’ di colpo fino a far gelare il lago, allora le anatre spiccarono il volo e si portarono via il lago. Ora quel lago si trova da qualche parte in Georgia.”
POMODORI VERDI FRITTI (ALLA FERMATA DEL TRENO) – Regia di Jon Avnet. Un film con Kathy Bates, Mary Stuart Masterson, Mary-Louise Parker, Jessica Tandy, Cicely Tyson. Titolo originale: Fried Green Tomatoes. Genere Commedia – USA, 1991.
Questo mio articolo è stato pubblicato sul numero di ottobre di Lodi vecchio Mese