Kennedy e Facebook

Avete notato che strano? C’è pieno di gente che si lamenta sui social su ogni cosa ma mai nessuno che punti il dito verso se stesso!

Basta scorrere qualche discussione relativa a qualche post (cosa da cui, per salute mentale, cerco di stare il più lontano possibile…) e leggi di persone che si lamentano perché questo non funziona, quello non c’è, perché non si fa niente per i giovani, per gli anziani, per i disabili, per i poveri, per la pulizia del paese; e poi mancano iniziative, proposte, esperienze, appuntamenti, occasioni e la lista si fa sempre più lunga… È un gran coro di lamentazioni per ciò che non va, per quello che non funziona correttamente, per quanto si potrebbe fare meglio.

Ma fateci caso: mai nessuno che usa la prima persona plurale… la seconda persona è sempre più comoda e più facile… Nessuno che dica “noi” ma tutti sono impegnatissimi ad usare il “voi” per accusare, per lamentarsi, per imprecare, per mugugnare, per esternare o pretendere. Talvolta mi piacerebbe intervenire in una di queste discussioni facendo una semplicissima domanda: “Ma scusi, lei che si lagna per ogni cosa, che cosa fa per la nostra comunità?” Perché, sapete, è facile mettersi in cattedra ed elencare le cose che non vanno,  i problemi che ci sono  e quello che si potrebbe fare; mostrare sarcasmo o esprimere lagnanze davanti alla tastiera di un PC o allo schermo di uno smartphone. Più difficile è scendere dal divano, rimboccarsi le maniche e mettersi a disposizione degli altri, della comunità in cui si vive e del prossimo.

Ecco, mi piacerebbe che la prossima volta che qualcuno, per esempio, si lamentasse che non si fa niente per i giovani del paese, un secondo prima di premere il tasto di invio sulla tastiera del PC, si domandasse: “Ma io cosa faccio per loro? In che modo mi rendo utile alla mia comunità?”

Le cose cambierebbero se smettessimo di usare il verbo all’impersonale (del tipo: servirebbe, mancherebbe, si dovrebbe, c’è bisogno di, etc.) ed imparassimo a coniugare la prima persona plurale. Guardate: basta poco ma sarebbe una rivoluzione! Perché se usassimo il “noi” invece del “voi” o della forma impersonale, quelle critiche e lamentele che riversiamo sugli altri cambierebbero immediatamente il destinatario. E le nostre critiche smetterebbero di riguardare sempre gli altri, la comunità, lo stato, il comune, il sindaco, l’amministrazione o una qualunque altra categoria che non ci comprenda.

È tempo di passare da una cultura dei DIRITTI, secondo la quale tocca sempre agli altri soddisfare i miei bisogni, ad una cultura dei DOVERI, in cui a ciascuno è chiesto di farsi carico del bene della comunità. Sarà anche un po’ retorico ricordarlo, ma amo molto quello che  John Fitzgerald Kennedy disse nel suo discorso d’insediamento alla Casa Bianca:  «And so, my fellow Americans, ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country» (E così, i miei concittadini americani, non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro paese.)

È vero: occorre imparare a sentire la responsabilità per quanto ci sta attorno e smetterla di recitare un rosario di lamentele, come se le cose riguardassero sempre gli altri…anche perché, come diceva la canzone, in fondo,  gli altri siamo noi…


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