Ammetto che fa una certa impressione leggere i recenti dati pubblicati sul sito yougov.com sugli esiti di un sondaggio volto a valutare come i legami di amicizia vengano vissuti dalle persone in relazione alla loro fascia di età. In particolare il focus è stato posto sulle risposte della fascia definita dei “millenials” (i nati tra la metà degli anni ’80 ed i primi anni ’90), paragonate con quanto invece rilevato per la “generation X”(i nati tra gli anni ’60 ed ‘80) e la generazione dei baby boomer (i nati tra la metà degli anni ’40 ed i primi anni ‘60).
La sorpresa (o lo sconcerto) nasce dal sentimento di profonda solitudine ed isolamento che emerge dalle risposte dei più giovani tra gli intervistati: i millennial che si sentono soli ‘sempre’ o ‘spesso’ sono il 30%, contro il 20% della generation X ed il 15% dei baby boomer. Questo sentimento di solitudine nasce dal fatto che il numero di millennial che dichiarano di non avere amicizie significative è assai elevato: il 22% afferma di non avere alcun ‘amico’, il 27% nessun ‘amico intimo’ ed il 30% nessun ‘migliore amico’ . Questi dati sono decisamente superiori rispetto a quelli relativi a coloro che sono nati nei decenni precedenti. Addirittura una buona fetta di millennial (il 25%, per l’esattezza) dichiara di non avere nessuno che possa dirsi ‘un semplice conoscente’.
Questo dato suona ancora più inquietante se lo incrociamo con altre rilevazioni, in base alle quali i millennial sono il gruppo demografico che utilizza di più i social media: l’86% contro il 59% dei baby boomer. In pratica i nostri figli più giovani sono coloro che restano maggiormente connessi alla rete ma allo stesso tempo anche coloro che sperimentano una solitudine esistenziale e relazionale davvero preoccupante. I giovani sono connessi ma soli, “in rete” ma profondamente isolati; essi frequentano i social ma questi luoghi paiono favorire una narcisistica chiusura in se stessi invece che promuovere la socializzazione e l’incontro.
Pare proprio un controsenso logico: com’è possibile non avere amici quando si anno centinaia di amici su Facebook? Come ci si può sentire isolati quando si è perennemente connessi, in relazione incessante con il mondo e con gli altri? Come si può sperimentare un tale isolamento quando non passa minuto che si riceve un messaggio whatapp, una mail, un sms, un vocale, una foto su instagram o una semplice telefonata?
Forse accade perché l’amicizia è qualcosa di più “serio” ed impegnativo di un collegamento tra due account di un social media e un amico è di più di un semplice destinatario di un messaggio o di una chat. Forse accade perché usiamo parole che hanno perso il loro significato originario: abbiamo “amicizie” che sono banali connessioni informatiche, “collegamenti” che si traducono in un dozzinale scambio di informazioni e “follower” che sono il nome che diamo a coloro che si fanno i fatti nostri.
Il punto è che nessuno esce dalla propria solitudine esistenziale attraverso questi incontri tanto virtuali quanto irreali. Per bucare la nostra bolla solipsistica abbiamo bisogno di due braccia che ci stringono, di due occhi che ci scrutano, di due orecchie disponibili ad un ascolto gratuito e disinteressato. Ciascuno di noi ha un bisogno radicale ed elementare di sentire la presenza fisica dell’altro, il contatto della sua pelle, il calore delle sue membra e l’odore del suo corpo. La nostra corporeità ci identifica e ci appartiene come un dato costitutivo della nostra esistenza: noi siamo il nostro corpo e ogni incontro che aspiri ad essere reale e personale non può prescindere da questa connessione “corpo a corpo”, “pelle a pelle”, “sguardo a sguardo”.
L’amico, quello vero e sincero, è colui che ci accoglie nella sua vita , che ci fa spazio nel suo mondo, che ci offre ospitalità nella casa dei suoi sentimenti e dei suoi affetti. L’amicizia, quando è autentica, è la condivisione, talvolta dura e faticosa, di due vite, di due mondi interiori, di due orizzonti di senso, di due anime che si cercano e si completano.
Certo, è assai più semplice cercare nuove amicizie “a buon prezzo”, schiacciando un pulsante su uno schermo o mandando inviti virtuali. Sperimentare la presenza ingombrante dell’altro è spesso assai più duro ed impegnativo, ma, ahimè, è l’unico modo che conosciamo per calpestare questa terra da uomini felici e riconciliati.
Questo mio articolo è stato pubblicato sul numero di Ottobre di LodivecchioMese