Leggo e rileggo il post di Marta (QUI) come ipnotizzato dalla sue parole. Confesso che quello che mi colpisce non sono tanto le parole o la narrazione (che, tra parentesi, sono davvero ricche ed intriganti, a testimonianza di una bella tecnica espressiva) ma ciò che trovo sorprendente e, per un certo verso spaesante, è lo sguardo di Marta sulle cose.
Per me il cuore della fascinazione, che questo breve racconto trasuda, è tutta qui: negli “occhi ricchi di sguardi” che Marta sa buttare sulle cose e sulle persone che la circondano.
Vi sono tanti modi per stare al mondo, tanti stili con cui è possibile calpestare questa martoriata terra: c’è chi predilige un’algida indifferenza, chi un asciutto egoismo, chi una sprezzante aggressività, chi un risentito cinismo, chi ancora una insolente superiorità. E chi invece scegliere di correre il rischio della compassione.
Sì, Marta ha uno sguardo ricco di compassione, quella strana sensibilità del cuore che è difficile da spiegare a chi è abituato ad osservare il mondo con le lenti dell’utile, del profitto, dell’interesse e del tornaconto.
La compassione è un’arte delicata ed esigente, difficile ed impegnativa, che nasce sempre da un animo pronto a “lasciare se stesso” per vivere un impercettibile ma irrevocabile sbilanciamento verso l’altro. Questo “altro” non è sempre l’amico ricercato o la persona cara, ma talvolta ha il volto dello sconosciuto, dello straniero, di colui che la Vita ti mette sul cammino, in modo inaspettato e provocatorio e che spesso ti scuote del tuo stato di indifferente autismo.
Credetemi, è davvero esigente questo minuscolo gesto di compassione: chiede, anzi esige, la forza di dimenticare per un attimo se stessi, i propri problemi, le preoccupazioni ed afflizioni per essere “lì”, con l’altro, sentendo nella propria carne tutta la passione che nasce dal condividere la medesima umanità. Questa benedetta compassione non nasce da superbia o altezzosità, ma dall’umile riconoscimento di essere simili, animati da medesimi sentimenti e abitati da una identica fragilità.
Le parole di Marta con la sconosciuta incontrata sul tram 19 non hanno nulla di scontato o retorico, di ricercato o affettato. Sono l’incontro, banalissimo e allo stesso tempo straordinario, di due vite, di due sofferenze, di due carni. La magia, credetemi, sta tutta qui.