Ho letto con attenzione l’intervista rilasciata da Vittorino Andreoli ad Huffingtonpost (QUI). L’ho trovata lucida e estremamente perspicace, come molte delle riflessioni dello psichiatra e scrittore. Ne riporto di seguito un ampio stralcio, ma vi invito a leggerlo per intero. Buona Lettura.
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Negli ultimi anni, la cosa che più mi colpisce è che le persone manifestano una grande insicurezza: un sentimento che c’è sempre stato, ma occupandomi degli uomini e in particolare dell’uomo che soffre, del ‘folle”, dell’uomo rotto, mi accorgo che è diventato un tema dominante. È un’insicurezza paralizzante che ci investe dentro di noi e fuori di noi. Il risultato è un uomo che finisce per vivere malissimo e per non fare nulla, che non ha nemmeno più il coraggio di agire.
Il coraggio è una parola importante che si lega alla paura: bisogna avere paura per aver coraggio, ma se la paura è in eccesso e diventa panico, non ci si muove più. Io vedo questo uomo che è lì che aspetta e non si sa cosa aspetti. Il mio compito in quando psichiatra è tentare di far capire che bisogna fare qualcosa in una società in cui persino quello che dovrebbe dare sicurezza genera oggi insicurezza.
Da una parte c’è l’insicurezza dentro di me, dall’altra c’è l’insicurezza che provo ma che vive fuori di me. Il grande tema su cui interrogarsi è il fuori di me. La domanda che più di consueto mi rivolgono i miei pazienti è ‘cosa accadrà?’. È l’incertezza del futuro ad impaurirli. Viene fuori una società della paura in un mondo che vive costantemente in guerra, reale e figurata.
C’è ancora vento di guerra nel mondo, le persone lo avvertono. Non c’è un momento di pace neanche in quella che Platone chiamava la Res Publica. La politica non ha più interesse alla cosa pubblica perché questa viene gestita spaventando i cittadini che ogni giorno si alzano e si chiedono cosa ne sarà del Governo, cosa ne sarà della “guerra” scatenata dalla politica.
Pensi alle lotte nei condomini, nelle scuole, dove i genitori picchiano gli insegnanti. C’è un mondo fuori di noi in cui non c’è nulla che ci rassicuri. Ditemi un posto dove poter star tranquilli. Neanche i templi di Dio. Ho un grande rispetto per le religioni, perché conosco il bisogno dell’uomo di compensare le difficoltà della vita con modi che siano un po’ più giusti, ma le Chiese sono diventate un pericolo anch’esse oppure ci sono Chiese dove non si respira più il Trascendente. Sono chiuse.
Oggi consumiamo i sentimenti come un tempo si consumavano le scarpe. Si buttano via rapporti di anni: con questo non voglio dire che le relazioni debbano essere perenni, ma ci se ne libera con troppa facilità. Mi sembra si sia perso il senso dei legami: uno dice ‘non mi trovo più con quello o quella e chiudo’. Ma è la tua storia, è il tuo passato, dico io. Nemmeno le relazioni che sono un bisogno interiore di essere legato a qualcun altro per poter essere difeso funzionano più, perché tutto ciò che era legame adesso diventa rottura. Non intravedo alcun elemento né interno che esterno che possa essere un appiglio capace di donare sicurezza. La famiglia, si dirà. Ma è il luogo dove c’è maggiore violenza.
Non abbiamo più alcun principio e viviamo in una società che pare si “diverta” a spaventarci. La politica vive della paura degli uomini: i politici devono rompere per poter comandare, quando mai la politica è ancora “costruzione”, mi dica chi in questo momento dei nostri politici sta “tessendo” invece di distruggere? Ci sono politici che devono difendere se stessi in Italia come all’estero e la prima cosa che fanno è spaventare, per allontanare il pensiero della gente dalle loro rogne.
C’è bisogno della cosa pubblica e il primo dovere è dare sicurezza, la gente non deve vivere nell’incertezza di cosa accadrà domani, nella rassegnazione. La gente deve avere una speranza che è un concetto fondamentale: oggi non mi sento granché bene, ma domani! Questo non l’ha inventato nessuna religione, l’ha ripreso Freud il quale diceva che noi abbiamo un “Io attuale” e un “Io ideale”: come sono e come vorrei essere. Oggi non c’è più un “Io ideale”, perché non c’è più speranza e non c’è più idea di futuro.
Dobbiamo ritrovare un’economia del fare del bene. La soddisfazione, la gratificazione di per-donare, nel senso di dare qualcosa di sé. Ritrovare il senso dell’altro, non avere la cultura del nemico. Bisogna fare questa rivoluzione pacifica dentro di noi. Questa è la richiesta che mi viene fatta più spesso: ‘professore, come devo fare per vivere un po’ meglio? Senza paura? Senza il pericolo di qualche cosa?‘. Bisogna ritrovare il senso che l’uomo ha bisogno dell’altro uomo e partire da qui. Si può fare tanto, perché in questo paese ci sono tante persone perbene, ma non contano nulla. Se c’è una speranza è nei NESSUNO, lo scriva in maiuscolo. Io voglio essere un NESSUNO.
Vittorino Andreoli