Ha fatto scalpore sui giornali la notizia che un istituto scolastico romano, nel dépliant che promuoveva l’offerta didattica, abbia descritto una delle proprie scuole come frequentata dalla buona borghesia capitolina, mentre una seconda come connotata da un’utenza più popolare e variegata, maggiormente articolata nella composizione sociale ed estrazione culturale.
Nessun dubbio che le cose vadano davvero così, anche se vederlo scritto nero su bianco su un documento scolastico fa un certo effetto. Messo in questi termini, infatti, pare che questa divisione sociale sia qualcosa di cui la scuola vada fiera, una specie di “plus” dell’istituto romano, e non una barriera sociale che la scuola pubblica dovrebbe impegnarsi a rimuovere.
Intendiamoci, nulla di cui scandalizzarsi o per cui strapparsi le vesti: che la scuola italiana possieda percorsi didattici differenti e spesso assai distanti gli uni dagli altri in termini di qualità dell’offerta formativa, penso che sia una ovvietà per chiunque abbia figli in età scolare.
Ogni città, compreso il nostro piccolo territorio, gode di istituti dall’altissimo valore formativo e spesso frequentati solo da quella “upper and middle class” che se lo può permettere ed altre scuole che patiscono un’utenza assai più problematica e povera, sia culturalmente che socialmente.
Nasce spontanea una riflessione: proprio nel momento in cui la modernità ci offre infinite possibilità di scelta, promuovendo nuove opportunità per tutti, molteplici occasioni per i giovani, indipendentemente dalla classe sociale di provenienza, ebbene proprio in questo effervescente contesto sociale si acuisce il divario tra ricchi e poveri, tra istruiti ed analfabeti, tra benestanti ed emarginati, tra chi ha molte possibilità e chi non ne ha nessuna. La società moderna così fluida e democratica finisce per essere settaria ed escludente… strano, no?
Eppure, non sorprenda questo fatto, giacché non si tratta di un effetto imprevisto ed inatteso , bensì di una diretta e naturale conseguenza della società liquida, caratterizzata dal mito delle opportunità. Perché, vedete, in una società chiusa, in cui i movimenti sociali sono limitati e ridotti, il figlio del ricco e il figlio del povero finiscono, quasi per destino, per frequentare la medesima scuola, probabilmente l’unica a disposizione sul territorio. Quando invece le opportunità si moltiplicano, si attiva un processo spontaneo di “aggregazione di chi è affine”: i ricchi, gli istruiti, i benestanti cercheranno altri ricchi con cui condividere interessi, passioni e stile di vita e, quasi naturalmente, tenderanno ad escludere chi ha gusti diversi e talvolta incompatibili. Dall’altra parte perché chi va a 100 km all’ora dovrebbe rallentare per aspettare chi può raggiungere solo i 30? Quando la strada è unica, la convivenza diviene un po’ forzata ed inevitabile; ma se le “strade di opportunità” si moltiplicano, ciascuno tenderà a condurre il viaggio con persone simili.
Si arriva così ad un effetto apparentemente (ma solo apparentemente) contraddittorio: la società delle opportunità genera divisione sociali, tanto impreviste quanto strutturali. In altri termini (e detto in maniera un po’ rozza) è proprio la cresciuta libertà, di cui ciascuno di noi gode, che rischia di creare una stratificazione ed una divisione sociale che proprio questa ritrovata libertà sperava di rimuovere o quanto meno limitare.
È questo un destino ineludibile e fatale dal quale non possiamo scappare? Certo che no! Una cosa però dobbiamo considerare attentamente: se un tempo la struttura sociale e culturale delle nostre comunità permetteva (ed in qualche maniera “forzava”) un naturale incontro tra ceti e classi sociali diverse, tra persone che possedevano un bagaglio culturale eterogeneo, differenti risorse e ricchezze diseguali, nella società moderna questo incontro e questa condivisione è lasciata alla libera scelta di singoli e gruppi. La solidarietà, nei suoi molteplici aspetti, non è più “imposta” dal modello sociale (pensate alla straordinaria esperienza delle corti contadine dei nostri nonni) ma è consegnata alla libertà e alla responsabilità delle nostre scelte. Se da una parte la modernità ci offre straordinarie opportunità e impensabili libertà, queste divengono ineludibili appelli alla nostra responsabilità e a quel senso di giustizia e di equità che dovrebbe ispirare il nostro stare insieme. Detto diversamente: la giustizia e la solidarietà divengono affascinanti possibilità affidate alla nostra accresciuta autonomia; non sono un dovere inevitabile, ma una preziosa ed umile occasione offerta alla nostra libertà.
Questo mio articolo è stato pubblicato sul numero di gennaio di LodivecchioMese