Molti anni fa, proprio in questo giorno, mia madre mi dava alla luce. Dopo nove mesi di sua compagnia nel caldo del grembo, giunse anche per me il momento di aprirmi al mondo e di iniziare il lento ma inesorabile processo che mi avrebbe reso una persona indipendente ed autonoma. Con la nascita iniziamo un percorso che ci accompagna per tutta la vita: quello che ci rende sempre più “noi stessi”, un processo di individualizzazione, di riconoscimento ed accettazione della nostra identità e del nostro valore.
Eppure tutto ebbe inizio a mia insaputa: non chiesi io di nascere, né fu una mia scelta quella di accogliere la vita. La mia vita mi venne imposta allo stesso modo in cui è imposta ad ogni uomo che nasce su questa terra. Quell’esistenza che è lo spazio in cui abbiamo la possibilità di esprimere la nostra libertà ed la nostra volontà, ebbene quell’esistenza tanto orgogliosamente rivendicata come “personale” nasce da una esperienza patita “contro ogni volontà”, subita e tollerata come una decisione di altri. Certo quegli “altri” erano persone che ci amavano e ci amano più della loro vita ma resta il fatto che, per quanto fatta per amore, quella è stata una decisione in cui non siamo stati interpellati.
La filosofa Maria Zambrano diceva che prima ancora di rimuovere l’idea della nostra morte, noi tutti rimuoviamo l’idea della nostra nascita, giacché, alla faccia del mito dell’uomo che “si fa da sé”, nessuno di noi si è fatto da sé. Anzi, nella cosa più importante della nostra vita, ossia la vita stessa, nessuno di noi ha avuto voce in capitolo. Niente male: saremo pure i signori del cosmo, capaci di scoprire i segreti più reconditi dell’universo, di andare sulla luna ed in fondo agli oceani, di inventare ogni sorta di miracolo, ma riguardo la cosa più fondamentale di noi stessi, restiamo nudi ed impotenti.
Emmanuel Levinas lo chiama “il ya”, quello che c’è, l’esistenza data e riconosciuta come preesistente ad ogni determinazione. Ecco ognuno di noi nasce come consegnato dalla vita a se stesso; ciascuno di noi viene al mondo attraverso un atto di radicale passività che lo dona a se stesso. Il mio corpo, la mia intelligenza, la mia sensibilità e interiorità, tutto quello che sono è il primo dono che la vita mi ha fatto.
La vita emerge e si rivela anzitutto come un donare “noi” a “noi stessi” e ci chiede di decidere di cosa fare di questo dono, assolutamente non richiesto ma esageratamente prezioso.
Auguri!!!
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