Cinquant’anni sono davvero tanti. Soprattutto se li passi sempre insieme. Praticamente è almeno metà della tua vita, sperando di raggiungere la mitica soglia dei cento.
È difficile immaginare cosa può accedere in cinquant’anni: se penso ai miei genitori dentro quella cifra ci sta un matrimonio, due figli, tre case, non so quante automobili, 4 nipoti, tanti lutti, moltissime nascite e matrimoni, tantissimi viaggi insieme, una infinità di vacanze, migliaia di chilometri percorsi per i più svariati motivi, 35 anni di lavoro, la pensione, una quantità industriale di vestiti cuciti ed un numero esorbitante di partite di calcio giocate ed allenate, molti amici incontrati, tante malattie e difficoltà, tante cadute e tante salite. Ovviamente non sono mancati tanti traguardi raggiunti a braccia alzate, tante gioie e soddisfazioni, successi e vittorie.
Ma soprattutto in quei cinquant’anni c’è tanto amore dato e ricevuto, tanti sguardi ed abbracci, tante strette di mano e pacche sulla spalla, tante consolazioni e conforti e quella sensazione impagabile di essere al posto giusto con la persona giusta.
Ma c’è una cosa ancora più bella, se gratti sotto la superficie degli anni trascorsi e delle stagioni passate: credo sia la consolazione di esser stata una coppia generativa, di aver generato vita per sé e per gli altri. Quei lunghi cinquant’anni che ti lasci alle spalle sono lì a testimoniare che non ti sei chiuso a riccio, che non ha trattenuto la vita per te stesso ma l’hai donata abbondantemente a chi è stato accanto: ai figli, ai nipoti, alle nuore e ai parenti, ai vicini di case ed agli amici, da quelli più intimi ai semplici conoscenti.
In fondo essere generativi è l’unico modo con cui possiamo lasciare un segno nella nostra esistenza, sperimentando la consapevolezza di aver fatto la differenza per qualcuno e di non aver calpestato inutilmente questa terra.
Sono tanti cinquant’anni di matrimonio: ma forse i tanti gradini scesi insieme, proprio come nella poesia di Montale, hanno regalato la consapevolezza che il mondo ormai lo si può vedere solo attraverso gli occhi dell’altro.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
(E. Montale)