Dopo quasi quattro mesi oggi ho rimesso piede in ufficio.
Non è facile spiegare quello che si prova: la stranezza che avverti entrando in un ambiente che ti aveva accolto per mesi e mesi, tutti i giorni, credo testimoni, se ancora ce ne fosse bisogno, di quanto questo tempo di COVID ha segnato uno spartiacque tra un prima ed un dopo. Penso che il semplice fatto che attraversi quasi con incredulità l’open space in cui sta la tua scrivania, provando un senso di disorientamento misto a sorpresa, ebbe tutto questo ti fa chiaramente avvertire che stai lentamente ricucendo un filo che si era drammaticamente ed improvvisamente interrotto, che stai cercando di riannodare una storia che è stata violentamene troncata, sospesa e messa in stand by.
Lo smarrimento di questo ritorno non sta solo nel lungo periodo di lontananza ma anche dal modo in cui hai potuto fare “ritorno a casa”: anzitutto l’ufficio si presenta praticamente deserto, giacché solo una piccola parte dei tuoi colleghi ha potuto rientrare; poi c’è quella mascherina che non ti lascia mai un momento e quella distanza che devi continuamente interporre tra te e gli altri: sono cose che inevitabilmente creano fastidio e un senso di irrealtà, che ti fanno percepire gli altri come delle minacce, come qualcuno da cui difendersi e, per altro verso, come persone da non infettare; ci sono poi le stanze riunioni chiuse, l’area break bandita, gli accessi contingentati al bar ed ai luoghi comuni ed il fatto che ti puoi muovere nello stabile con minore libertà e naturalezza, costretto a seguire percorsi che altri hanno segnato per te.
Insomma, capisco bene che questo nuovo piccolo passo verso la normalità ha avuto un sapore dolce ed aspro, piacevole e allo stesso tempo un po’ urticante: alla gioia di rivedere visi e persone care si è frapposta l’impossibilità di un contatto normale ed affettuoso; al piacere della compagnia ritrovata si è mischiata la netta consapevolezza che nulla è come prima, che ogni singolo gesto deve essere ripensato e rivalutato e che l’ordinarietà della vita lavorativa è stata cancellata con violenza e per chissà per quanto.
È proprio questo quello che mi porto a casa da questa strana giornata: la consapevolezza che le cose lentamente si appianano e che la tua vita ti viene gradualmente restituita. Ma, ahimè, quello che ti ritrovi tra le mani assomiglia assai poco a quello che avevi lasciato.