Forse la misura dell’amore che proviamo per qualcuno è il grado di “esposizione” che sperimentiamo verso di lui, quanto ci sentiamo vulnerabili e fragili, attaccabili ed indifesi.
Eleviamo spesso barriere verso le persone che ci circondano, come un istintivo gesto di difesa: siamo sospettosi e diffidenti, un po’ in difesa per quello che gli altri potrebbero dire o fare. Non permettiamo frequentemente di invadere il nostro spazio vitale, quello che riteniamo essenziale per il senso del nostro valore e per la nostra autostima. Siamo davvero bravi a tenere a “distanza di sicurezza” le persone, affinché evitino di ferirci o di mettere in discussione chi siamo.
Con le persone a cui vogliamo bene le cose cambiano radicalmente: se con gli altri non ci affossa manco un cannonata presa in petto, con i nostri amici è sufficiente un battito di ciglia fuori posto per crearci qualche ansi, una parola non detta per metterci in allarme, una telefonata non fatta per attivare strani pensieri. A loro concediamo un potere che non cederemmo a nessuno, una vulnerabilità che è a metà tra il cinico ed il sadico.
Forse perché a chi amiamo mostriamo sempre le nostre ferite, riveliamo le nostre debolezze, confessiamo le nostre fragilità. E questa “epifania” di noi stessi non è mai qualcosa pacifico o spontaneo; è frutto di una fiducia maturata nel tempo e di una confidenza del cuore costruita con fatica e pazienza. Rivelare noi stessi a coloro a cui vogliamo bene ci rende indifesi nei loro confronti ed incrina quel guscio di invulnerabilità dietro cui ci nascondiamo.
Ho capito una cosa: possiamo reggere a questa “esposizione” minacciosa solo nutrendo una fiducia radicale, capace di silenziare dubbi o incertezze. Serve una fiducia che sappia vincere quel tarlo del sospetto che ci portiamo tutti dentro. Intendiamoci: non è nulla di facile. Significa vivere una consegna di se stessi che richiede molto coraggio, molto tempo e molta volontà.