Natale è la festa dello stupore, del dono inatteso, dell’accadimento imprevisto, dell’avvenimento sorprendente. Basta leggere alcune pagine dei Vangeli, che raccontano questa nascita tanto attesa quanto impensabile, per rendersi conto che è la meraviglia l’atteggiamento che attraversa questo tempo dell’anno. Maria, Giuseppe, i pastori, i Magi, la gente, Simeone ed Anna, persino Pilato sono tutti esterrefatti per quello che è accaduto, per un evento che nessuno di loro avrebbe mai messo in conto di vivere o di cui essere spettatore.
Anche oggi la sorpresa è la cifra più vera di questi giorni a cavallo tra il vecchio ed il nuovo anno: mi chiedo se il nostro scambiarci regali o fare doni ai più piccoli, non siano in realtà gesti che vanno al cuore della questione: quella di farci nuovamente sperimentare la meraviglia per quello che accade, lo stupore per l’esistenza, la sorpresa per il bene che ci viene elargito senza che magari lo abbiamo chiesto. In un mondo che pianifica, prevede, progetta, valuta, definisce, pronostica e controlla, sperimentare nuovamente la meraviglia dell’inatteso e lo stupore dell’ineffabile non è certo cosa da poco. Significa guardare all’esistenza, almeno per un attimo, da un punto di vista differente e forse un po’ eretico: quello che fa del dono, dell’attesa, della speranza e della fiducia la grammatica della vita, il vocabolario dell’esperienza.
Ma da dove genera questa sorpresa, dove nasce la meraviglia, dove si accende lo stupore? Cosa rende i nostri occhi pieni di sorpresa, quale sbigottimento sequestra il cuore, quale notizia scuote il nostro sonno pigro? “Lo stupore cristiano non trae origine da effetti speciali, da mondi fantastici, ma dal mistero della realtà: non c’è nulla di più meraviglioso e stupefacente della realtà! Un fiore, una zolla di terra, una storia di vita, un incontro… Il volto rugoso di un vecchio e il viso appena sbocciato di un bimbo. Una mamma che tiene in braccio il suo bambino e lo allatta. Il mistero traspare lì.” (Francesco, omelia al Te Deum, 31 gennaio 2021)
C’è lo stupore dell’irrealtà, di quanto ci porta lontano dalla quotidianità delle cose, di ciò che spalanca verso dimensioni etere, mistiche, luoghi nebulosi ed esotici, atmosfere oniriche, falsamente spirituali, posti dove la suggestione si mescola con la fantasia e l’utopia. E poi c’è la meraviglia tutta cristiana di un bambino che nasce, di un corpo debole e indifeso, di una realtà talmente misera da rischiare di essere irrilevante. Eppure “il mistero traspare da lì”, da quelle cose feriali e banali che abitano le nostre esistenze, da quella quotidianità fatta di terra, di volti, di incontri, di fiori e di sguardi, di abbracci e di tocchi. Il Natale ci racconta e ci testimonia che la nostra povera carne sa custodire il Mistero della Vita, che le cose sono assai più “dense” di quello che i nostri occhi sanno intravvedere, che c’è “un di più” nelle banali ore dell’esistenza che chiede di essere riconosciuto, accolto ed onorato.
Mi chiedo se non sia questo un buon augurio che ci potremmo fare vicendevolmente per il nuovo anno: quello di custodire quel divino senso dello stupore che ci fa scorgere la bellezza della vita dentro ogni piccola cosa, dentro ogni timida gioia ed ogni acuto dolore; quello di alimentare lo sguardo che sa scorgere oceani dentro una pozzanghera e orizzonti infiniti al di là del pezzetto di cielo che scorgiamo attraverso le finestre di casa nostra.
Pubblicato su Il Cittadino di oggi