La parola grazie ha un non so che di docile e potente allo stesso tempo. È un termine semplice, familiare, quotidiano che usiamo nelle più disparate occasioni: quando qualcuno ci apre la porta, quando ci viene dato il resto di un acquisto, quando qualcuno ci cede il passo, quando ci viene fatto un piacere o un gesto di attenzione. È una parola talvolta un po’ “banale” perché esce come un gesto irriflesso dalla nostra bocca, come un atto di buona educazione ma senza che ad essa assegniamo chissà quale significato o importanza. Anche se sempre meno praticata, la parola grazie appartiene al sano senso di socialità che regola i nostri rapporti, a quel bon ton che dovrebbe accompagnare le nostre relazioni ed i nostri contatti.
Eppure vi sono momenti in cui quella semplici sei lettere si rivestono di una carica inattesa, come se venissero distillate come una preziosissimo balsamo, come gocce di un elisir di gran valore. Talvolta dentro un grazie ci sono anni e anni di conoscenza, di stima, di reciproco apprezzamento, di collaborazione, di comprensione, talvolta anche di affetto. In un grazie a volte ci trovi tante fatiche condivise, tanti traguardi tagliati insieme, alcuni fallimenti o cadute, giornate leggere e piacevoli insieme ad altre dure e faticose. Talvolta in un grazie ci sono addirittura sentimenti mai espressi, affetti celati con pudore, gioie mai condivise; spesso c’è un senso profondo di riconoscenza, di una gratitudine spontanea e vera, sentita e autentica.
Grazie sta a dire il riconoscimento non solo per quello che si è fatto ma per quello che si è stato; essa racconta di vite che si sono intrecciate, di destini che si sono stranamente incrociati, di giorni e mesi che si sono impastati della stessa trama del tempo.
Certi grazie sono un povero ma affidabile ponte tra due cuori, come un’ancora di salvataggio lanciata nella vita dell’altro affinché, nonostante la distanza, il tempo che scorre e le fatiche, non si smarrisca il dono della reciproca presenza.