Ieri sera mi sono addormentato con le immagini del terremoto di Ischia impresse negli occhi: dopo la terribile strage di Barcellona, ancora morte, ancora distruzione, ancora dolore e sofferenza per molta gente. Pare di essere entrato in un labirinto di tribolazioni da cui non si riesce ad uscire.
Stamattina, al risveglio, mi è giunta la notizia che la moglie del mio amico Andrea ha avuto il secondo figlio: il primo parto era stato davvero travagliato e problematico e sono davvero felice per lui che abbia potuto, in questa seconda occasione che la Vita gli ha dato, godere dell’ebrezza dalla paternità in modo pieno e diretto. Posso immaginare quanto la prima nascita gli abbia procurato una gioia “dolorosa”, di quelle che vanno conquistate giorno dopo giorno, fatica dopo fatica. Sono quindi contento che con Tommaso sia giunta anche una felicità più immediata, palpabile ed inebriante.
Tutto in meno di dodici ore: la morte e la vita, il dolore e la gioia, la felicità dell’essere e il dramma del perire…
È davvero drammaticamente inimmaginabile questa nostra esperienza del vivere: trascorri ore e minuti sobbalzato da accadimenti che ti fanno toccare il cielo e da drammi che ti tolgono il respiro.
Vivere è accettare di assaporare il dolce e l’amaro nello stesso boccone; è sapere che quella stessa passione che ti dà le vertigini, è la stessa che ti ferirà dolorosamente e che quella salita che ti porta in cima potrebbe poi farti ripiombare nel dirupo.
Non c’è scampo a questo movimento ondulatorio, a questo eterno susseguirsi di estasi e disperazione. Non c’è tregua, non c’è sosta né alcun armistizio possibile.
Vivere è patire questo movimento oscillatorio, come un pendolo in cerca del suo equilibrio.