Ho il sospetto che, talvolta, la stanchezza e la fatica siano il modo in cui la vita ti rimette al tuo posto, la strategia con cui ti invita, a volte gentilmente altre volte con maggior vigore, a riacquistare una misura più sana ed equilibrata di te stesso. Quando sei in forma e le energie non ti mancano corri sempre il rischio di strafare, di farti coinvolgere in mille cose, mille impegni, mille cure e responsabilità. Con l’andare del tempo questo dinamismo fa crescere una visione un po’ farsesca di te stesso, quasi fossi un super-eroe chiamato a fare cose sempre più impegnative ed onerose. Come se uno viaggiasse con un rifornimento infinito di forze ed energie.
Succede così che, come per benedizione, inizi ad avvertire un certo affanno, interiore prima ancora che fisico, grazie al quale inizi a limitare e a controllare le tue pretese smodate, cominci a porre limiti, a dire dei no, ad ammettere a te stesso che non puoi arrivare dappertutto e che occorre gustare una misura più sobria di se stesso. Inizialmente vivi tutto questo come un affronto arrogante al tuo senso di onnipotenza, ma la Vita, fortunatamente, non molla ed è capace di sopportare le tue lamentele ed insofferenze e così rimetterti al tuo posto, dentro i tuoi panni, dentro vestiti che sono a tua misura.
Quando riconosci il messaggio che la Vita ti sta mandando comprendi che, tutto sommato, aveva ragione lei e che moderare il ritmo non è sola una sana strategia di sopravvivenza ma anche la possibilità di vivere in maniera piena e profonda la tua esistenza. In fondo il limite non è solo limitazione ma è, forse prima di tutto, condizione di possibilità per la vita, proprio come un fiume non percepisce i propri argini come delle limitazioni al suo percorso ma come la possibilità stessa di scorrere verso il mare.
La nostre stanchezze, le nostre fatiche, i nostri affanni ci parlano, ci sussurrano cose importanti per la nostra vita: è che lo fanno in maniera delicata e sommessa, che richiede attenzione e concentrazione per essere udite