Avete mai sperimentato la vulnerabilità verso la parola? No, non mi riferisco ad offese o insulti né a parole cattive o infamanti.
Parlo proprio della sensibilità ad una parola ascoltata o letta: può essere la canzone che amate, il verso della vostra poesia preferita, la parola sussurratavi nell’orecchio da chi amate, il consiglio di un amico, una riflessione di una persona saggia. Parlo di quell’esperienza singolare di fragilità che si prova quando una parola arriva dritta dentro, penetra le membra come una spada affilata e giunge nell’angolo più remoto dell’anima. Parlo di una parola che sa snudare, togliere ogni maschera o difesa, rivelare qualcosa che nessun’altro prima era riuscito a dire.
Vi è una forza in quella fragile e nuda parola che non passa inosservata. Anche se è stata solo biascicata o bisbigliata, essa sa irrompere nell’interiorità e scuoterne le fondamenta come un terremoto che giunge inatteso. Quella parola è capace di smuovere pensieri, di provocare riflessioni, di indurre emozioni e ricordi rimasti sepolti da tempo immemore. Essa sa rimbombare dentro la mente ed il cuore, creando singolari risonanze, echi insospettati, riverberi che raggiungono la pelle.
Insieme alla potenza di quella parola, l’esperienza più esistenzialmente densa è l’attestazione della vulnerabilità dei nostri sensi, quella capacità di essere scossi, interpellati, sollecitati e affascinati, turbati ed eccitati. È allo stesso momento un esperienza di debolezza ed energia, di caducità e vigore: sentirsi così umanamente esposti e così radicalmente ricettivi; allo stesso tempo attaccabili ed indifesi ma pure sensibili e impressionabili.
Quella parola che arriva dritta all’anima testimonia la profondità del nostro essere uomini, essere limitati ma radicalmente aperti all’oltre.