Chiunque lavori con le giovani generazioni sperimenta tutti i giorni la fatica della “tradizione”, ossia di quell’arte faticosa e complessa che tenta di consegnare a chi abiterà domani il pianeta quel patrimonio di sapere, cultura e senso complessivo del vivere che le precedenti generazioni hanno con fatica elaborato. Tramandare non è un operazione che limita la libertà del destinatario, né è un azione mossa da presunzione o saccenza. È l’umile consapevolezza che non si riparte da zero e chi siamo oggi dipende in gran parte da chi siamo stati ieri: quel bagaglio di saperi e valori sono i mattoni con cui le nuove generazioni potranno, con libertà e responsabilità, costruire la casa in cui vorranno vivere.
Eppure chi, genitore, insegnante, educatore, nonno, animatore o altro, lavora con i giovani ben conosce il travaglio che questa impresa comporta. Giustamente papa Francesco ci ha ricordato che stiamo vivendo non un’epoca di cambiamenti ma un cambiamento d’epoca. Quanto questo è vero in ambito educativo! Nel nuovo paradigma giovanile, le parole, i pensieri, i significati consolidati e stratificati nel tempo paiono non fare più presa. Si percepisce come una sorta di incomunicabilità, di distanza, quasi che la nuova generazione abbia subìto una cesura profonda e irreparabile con la precedente. Si tratta di una sfida dura ed avvincente, faticosa ma estremamente stimolante: chi è giovane interpella il mondo adulto a “rendere ragione della propria speranza”, per usare una espressione di Pietro, sapendo andare al di là di facili stereotipi, comode stratificazioni culturali oggi non più comprensibili. Chi vive con i giovani sperimenta la loro domanda di dire un senso del vivere non banale, non scontato, non convenzionale o frutto di sovrastrutture culturali e sociali oggi desuete. Tutto questo spinge noi mondo adulto a trovare parole nuove, ad andare in profondità, ad evitare il “già detto”, per sapere fare quell’opera di “traduzione della tradizione” oggi quanti mai necessaria e feconda.
In questo nuovo contesto anche il senso stesso dell’educare chiedere di essere messo in discussione, meglio compreso, riletto con occhi e con cuore rinnovati e coraggiosi. Forse non basta più comunicare una verità (fatta di idee, valori, comportamenti, atteggiamenti, etc.) come qualcosa semplicemente da accogliere e a cui obbedire. Quella visione della verità, come un complesso rigido ed immutabile di norme e ideali, a cui attenersi oggi funziona poco ed onestamente non sono così sicuro che questo sia un fatto negativo.
Un filosofo contemporaneo, Silvano Petrosino, ama ricordare che la creazione è un’opera perfetta ma non compiuta. Se fosse compiuta non sarebbe perfetta in quanto non lascerebbe alcuno spazio alla libertà e alle azioni dell’uomo. Il Dio biblico è un Dio che crea e si ritrae, non occupa tutta la scena, non ruba spazio all’uomo ma concede ambiti e orizzonti di profonda libertà ed iniziativa. L’amore di Dio per l’uomo, la sua pedagogia più propria, come l’intera vicenda biblica è lì a testimoniare, si traduce nella possibilità che Egli concede non solo di essere, ma di collaborare attivamente all’opera che Egli ha iniziato. L’opera della creazione, che ha visto la luce senza la partecipazione dell’uomo, non troverà mail il suo compimento senza il gesto libero e responsabile di ogni uomo che abita questo pienata. A ciascuno di noi è chiesto di dire quella parola, unica, irripetibile, particolare ed irriducibile senza la quale al Senso complessivo del tutto mancherà qualcosa. Mi domando se questa intuizione non illumini in qualche modo l’interrogativo da cui siamo partiti. Mi chiedo se educare oggi, seguendo le orme del Dio biblico, non significhi forse abilitare ogni giovane affinché possa dire la sua parola impareggiabile, trafficare quel talento che solo lui possiede, compiere quel progetto che da sempre gli appartiene. Non è forse questa la sfida di essere padri e madri oggi, ossia persone capaci di introdurre alla vita con fiducia e speranza? Educare oggi, più che trasferire idee e parole, ha a che fare con la possibilità di introdurre alle possibilità dell’esistenza, aprire spazi di libertà, appellare all’unicità dell’altro affinché, dicendo il suo sì, non faccia mancare il suo contributo per la costruzione di un mondo più umano.
Pubblicato su Il Cittadino del 3 Marzo 2023
Una risposta a "l’arte preziosa di tramandare"