la paura di sentirsi “alla fine della storia”

L’annuncio disorientante della Pasqua è accompagnato da un invito, che suona come un comando ed una promessa. Secondo il racconto di Marco, alle donne che sono timidamente e paurosamente entrate nel sepolcro vuoto, il giovane vestito di vesti bianche rivolge parole che destano stupore e spavento. Non solo un cadavere è tornato alla vita, cosa già di per sé stessa eccezionale, ma addirittura Egli, il Risorto, dà un appuntamento ai suoi: «Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”».

Questo mandato suona davvero come un rilancio della vicenda del Maestro di Nazareth, si prefigura come un nuovo inizio, il rimando a là dove tutto era iniziato. Si sale a Gerusalemme per vivere esperienze uniche ed indicibili, ma poi si riscende nella ferialità della vita, in quella Galilea dove la vita scorre piana, tranquilla, quasi anonima e nascosta. In questo apparente riavvolgersi del racconto, il Maestro non cessa di prendere l’iniziativa: precede i suoi, li guida, li anticipa nel cammino e nelle tappe dell’esistenza.

A volte, nei tornanti complicati della storia, della grande Storia che tutti accomuna, ma anche nella piccola storia personale di ciascuno, pare smarrirsi il ricordo di queste parole, che restano come silenziate sotto il peso delle preoccupazioni e delle ansie del vivere. Quando le cose si fanno difficili, incomprensibili e dolorose, si rischia di perdere il contatto con quella promessa affidabile e rassicurante: Egli ci precede, ci anticipa, ci previene e cammina davanti a noi. Chissà se le nostre comunità cristiane sanno sperimentare un gioioso ricordo di questo precedere… Chissà se nel disorientamento e nel frastuono in cui tutte sono immerse, nella fatica di questo cambio di epoca che così drammaticamente segna i nostri giorni, esse sanno riconoscere la presenza di Qualcuno che ancora le anticipa e le accompagna…

Ho la sensazione che la vera tentazione dei nostri tempi sia quella di pensarsi “alla fine delle storia”, in quel periodo dimenticato da Dio in cui tutto crolla sotto il peso della modernità che avanza. Il vero pericolo per noi uomini del terzo millennio è quello di pensare che tutto finisca di fronte a quel sepolcro in cui viene sepolta una certa forma della fede che ci ha accompagnato per secoli; la seduzione è quella di credere che da quel sepolcro, in cui ci ostiniamo a “ungere” una cristianità che non esiste più, il Signore non stia più precedendo i suoi in Galilea, là dove essi vivono, là dove scorre il tempo orinario delle esistenze. È diabolico questo pensiero, segno di un’opera inautentica della memoria, incapace di ricordare le promesse ricevute, proprio come è cantato nel salmo 77: “Questo è il mio tormento: è mutata la destra dell’Altissimo“. Rincara la dose il salmista: “È forse cessato per sempre il suo amore, è finita la sua promessa per sempre? Può Dio aver dimenticato la pietà, aver chiuso nell’ira la sua misericordia?” È lo stesso dilemma che attanaglia i discepoli in barca mentre fuori la tempesta sferza le onde: «Maestro, non t’importa che moriamo?». Di fronte ad un mondo che sembra franare sotto i piedi, si acuisce la percezione della solitudine e della sfiducia. In fondo è la stessa paura che imprigiona il cuore dell’uomo di ogni tempo e di ogni latitudine, quella di temere di essere stati dimenticati, trascurati ed abbandonati.   

È proprio a motivo della dimenticanza di questa “presenza che precede” che ci lasciamo travolgere da una frenesia scomposta, di una fretta ansiogena, come se fossimo rimasti da soli nella barca, come se il sepolcro vuoto fosse ormai silenzioso, come se, in fin dei conti, non resti che cavarsela con le proprie mani.

Forse in questo tempo di cambiamenti radicali, ci è chiesto di riascoltare quell’annuncio, di obbedire a quelle parole, di ricercare nella nostra vita personale, ecclesiale e civile, i segni di Qualcuno che ci sta sempre dinanzi; forse ci è chiesta la fatica di riconoscere la sua presenza là dove non ce l’aspettiamo, là dove i nostri mediocri schemi mentali non la prevedono, là dove si disvela una vita inattesa e sorprendente; forse ci è chiesto di avere occhi capaci di contemplare le impronte dei passi che Egli ancora lascia in questo mondo, aperti alla meraviglia dalla Novità che ci disorienta. “Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is cap. 43)

Pubblicato su il Cittadino del 10 aprile 2024


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