Volgo lo sguardo verso l’ampia vetrata che dal mio ufficio dà sul parco pubblico antistante. Generalmente vedo mamme che passeggiano con i figli, pensionati che si fermano sulle panchine a leggere un giornale o a godere un po’ di fresco, giovani che giocano a calcio o pattinano, persone che fanno sgambettare il cane oppure passanti che usano quel percorso come una scorciatoia per andare altrove. Questa volta invece mi imbatto in qualcosa di diverso che cattura la mia attenzione: si tratta di una donna sulla quarantina che porta a spasso il suo cane e che indossa guanti da lavoro portando in mano un sacchetto di plastica vuoto. Dopo aver lasciato libero l’animale, la donna inizia, con meticolosa cura, a raccogliere i diversi rifiuti che hanno lasciato per terra coloro che prima di lei sono passati per il parco. La donna si muove con calma e determinazione, scovando la spazzatura anche negli angoli nascosti dietro le panchine.
Mi colpisce la scelta di quella donna. Tutti colori che prima di lei hanno abitato quel parco lo hanno “usato” per un loro interesse personale: chi per leggere, chi per riposarsi o divertirsi. Tutti, in qualche modo, hanno “preso” qualcosa da quel parco e hanno goduto della sua presenza. La scelta della donna è stata diametralmente opposta: a quel luogo la donna ha donato attenzione, cura, tempo. È evidente che la donna è una frequentatrice assidua del posto e in quel gesto essa ha voluto come restituire tutto quello che il parco aveva in precedenza dato a lei.
Che strano…ci sorprende quando qualcuno ha il coraggio di cambiare prospettiva e di sperimentare un senso del dono e della responsabilità che eccede i canoni normali della nostra società. In fondo, in una cultura che enfatizza il senso dei diritti, quella donna ha sperimentato la forza e la bellezza del dovere, della responsabilità e della restituzione. In un modo che è molto attento a quello che “mi spetta”, scopriamo gesti che enfatizzano il senso del “mi tocca”, non con rancore o rabbia, ma con libertà e responsabilità.
Pensavo alla campagna elettorale a cui tutti stiamo, con più o meno entusiasmo, assistendo: ci trovi un sacco di promesse, di impegni, di cose offerte. Vi è come una corsa, spesso onestamente imbarazzante ed irrealistica, a chi offre di più al suo elettorato, come a compiacere le attese, a lisciare i desideri, a promettere mari e monti per accontentare i propri elettori. Gli italiani – questa la narrazione prevalente – hanno diritto a meno tasse, a più sicurezza, a bollette più basse, a maggiori tutele, ad una sanità efficiente, etc. Non critico queste promesse, ma esse si muovono sempre nella logica del riconoscimento e della promozione dei diritti dei cittadini. Non sento la stessa passione per il tema dei doveri, di quello che ciascuno di noi è chiamato a dare alla comunità. Anche perché, se ben ci pensiamo, diritti e doveri sono due facce della medesima medaglia: i diritti per ciascuno diventano doveri per qualcun altro e viceversa. Non esisterebbero diritti per alcuni se questi non si traducessero in doveri per altri.
Ecco, è questa società dei diritti illimitati che mi lascia talvolta perplesso, questa società a senso unico, in cui a tutti deve essere dato senza che nessuno diventi responsabile di corrispondere. È una cultura che ha paura della parola responsabilità, che altro non è che la nostra capacità – letteralmente – di rispondere alla presenza dell’altro, alle sue esigenze e domande. Mi piacerebbe una politica che imparasse ad usare il vocabolario dei doveri e la grammatica dell’impegno, quelle parole che rendono una società non un gruppo anonimo di consumatori, ma una comunità in cui ciascuno si fa carico dell’altro. Forse avremmo bisogno, anche a rischio di perdere qualche voto, di una politica che, con autorevolezza e onestà, abbia il coraggio di “chiedere” ai propri cittadini: chiedere impegno, tempo, passione, partecipazione, condivisione e anche sacrificio.
Mi piacerebbe vivere in una società in cui quella donna con il cane che raccoglie i rifiuti al parco diventasse meno una eccezione; mi piacerebbe una comunità in cui provassimo tutti meno sorpresa ed ammirazione verso qualcuno che, con semplicità e naturalità, si prende cura della cosa comune.
Pubblicato su Il Cittadino del 6 Settembre 2022