le nostre speranze deluse

È facile ricamare un po’ di poesia anche là dove non serve. Forse ci serve per addolcire la pillola, per rendere sopportabile il distacco, per affrontare un dolore che, se preso nudo e crudo, farebbe troppo male. Vedere il bicchiere mezzo pieno è sicuramente un modo per limitare i danni, per non lasciarsi travolgere dalle situazioni, per tentare di arginare un fallimento che rischia di essere devastante.

Accade così anche in questo Sabato Santo. Il Maestro è morto, la sua vicenda è finita, la promessa è tradita, la speranza rinnegata, proprio come hanno fatto Pietro e Giuda. Inutile girarci troppo attorno: tutto è delusione, amarezza e sconforto. Facile oggi leggere con gli occhi della Pasqua quel giorno terribile di Sabato, quando tutto il mondo pareva finire; facile affrontare la morte dal punto di vista della resurrezione che rischia di stemperare il dramma di quelle ventiquattro ore dopo il calvario.

Basta ascoltare i due discepoli che se ne vanno da Gerusalemme e tornano verso Emmaus per capire il peso ed il disinganno di quegli attimi: “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute”. Quel Maestro sembra promettente, la scommessa giusta della vita, quello su cui investire un esistenza. Invece…

Forse è la stessa attesa e la stessa delusione che il padre misericordioso del racconto di Luca sente nel cuore quando il figlio minore, dichiarando la sua morte simbolica, se ne va di casa. Chissà anche lui quante speranze aveva per quel giovane figlio, quante aspettative, quanti progetti per il futuro..invece…

Ecco allora che in questo sabato santo riecheggia la stessa attesa del padre per il ritorno del figlio, la sua ansia di vedere il suo volto all’orizzonte, la speranza che, presto o tardi, gli torni la voglia di tornare a casa.

In questo sabato santo riecheggiano anche tutte le nostre speranze non ancora avverate, i desideri che sono rimasti tali, le attese che ancora non si sono compiute. Oggi riverberano nei nostri cuori tutte le nostre morti che attendono una resurrezione, le amicizie che speriamo di ritrovare, i legami interrotti che vorremmo ricucire, le ferite che lacerano il nostro cuore e per le quali invochiamo un risanamento.

Abitare il sabato santo è non fuggire da questi sepolcri in cui si costudisce gran parte della nostra esistenza; è non saltare subito al mattino di pasqua come se un gesto magico potesse sanare tutto; è stare, dimorare, custodire questo silenzio alimentando la speranza che qualcosa può ancora accadere, non sappiamo come, dove, quando e perché.

L’annuncio della resurrezione ci trovi in attesa, attenti, speranzosi. Ci trovi anche discretamente delusi, amareggiati, sconfitti e demoralizzati perché la delusione è comunque segno di una speranza che, per quanto morente, si celava nel cuore. L’annuncio della resurrezione ci trovi, come il padre con il figlio minore, a scrutare l’orizzonte, per un ritorno che la mente ritiene impossibile ma che il cuore non si convince ad accettare.

Forse solo così l’annuncio pasquale darà fiato a quella attesa cocciuta, a quel desiderio insensato, a quella speranza che il mondo non sa credere.


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