La parte più faticosa del viaggio sono le valigie, la loro preparazione, l’individuazione di quello che ti servirà, la paura di lasciare a casa qualcosa… motivo per cui le ne lascio sempre volentieri l’organizzazione a mia moglie, che è molto più esperta e precisa di me.
Ma il vero problema, lo scoglio da superare non è di tipo organizzativo o pratico; non è la fatica di ordinare e predisporre i bagagli… non è questo ciò che mi si rivela pensante. No, credo che sia tutta una questione di testa: preparare le valige significa esporsi e, in qualche modo, anticipare l’ansia del viaggio.
Si, perché ogni viaggio porta sempre un bagaglio di preoccupazioni e di apprensioni; come sarà il tragitto? Incontreremo problemi? Avremo noie di salute? Affronteremo difficoltà? Insomma, un po’ tutte quelle cose che ti frullano nella testa quando fantastichi sugli scenari più grigi che potrebbero accadere. Il viaggio ha sempre questo aspetto di “incognito”, di “imprevisto “e di “sorpresa” senza il quale perderebbe il suo fascino e il suo incanto.
Viaggiare è gustare quanto di inatteso la vita ha pensato per te; non puoi programmare tutto, pianificare ogni singolo istante, controllare ogni dettaglio. Il bello sta nell’assaporare ogni piccolo boccone come se fosse la prima volta, come se fosse l’assaggio di un cibo nuovo ed originale.
La cosa straordinaria (e consolante) è che tutta questa preoccupazione svanisce dopo aver percorso il primo chilometro, dopo aver spezzato l’immobilismo iniziale ed aver lasciato che le cose accadano come devono accadere.