Si può convocare in tribunale un politico perché ha detto delle falsità? Ammetto che la cosa non è molto frequente ma talvolta accade. E quando accede è bene non lasciar passare sotto traccia la notizia. È successo oggi in Inghilterra ed il protagonista, suo malgrado, è Boris Johnson, ex sindaco di Londra ed attualmente in pista per la carica di primo ministro, dopo le rocambolesche dimissioni della signora May.
Il fatto risale a qualche anno fa, durante la caldissima campagna elettorale per il referendum sulla Brexit. A quei tempi, ancora sindaco della capitale inglese, Johnson era uno dei sostenitori più radicali e decisi dell’uscita del Regno Unito dalla comunità europea. Fin qui tutto bene. Peccato che per sostenere le sua posizioni il politico inglese affermava che ogni settimana il Regno Unito versava alla UE 350 milioni di sterline, che avrebbero potuto essere utilizzate, secondo la sua opinione, per migliorare il sistema sanitario inglese. Benché da subito questa notizia si fosse rivelata palesemente falsa, Johnson continuò a sostenerla incessantemente, attraverso una campagna pubblicitaria insistente ed incisiva. Qualcuno sostiene che questa fake news sia stata determinante per spostare quelle migliaia di voti necessari per fare prevalere la brexit sul “remain”.
La cosa non è andata giù a Marcus Ball, uomo d’affari di 29 anni, che ha organizzato una corposa raccolta fondi (raccimolando ben 400mila sterline) per pagare un team di avvocati e portare Johnson davanti ai giudici. E così è accaduto: il Boris nazionale dovrà ora comparire per un’udienza preliminare che stabilirà se esistono le condizioni per un rinvio a giudizio.
Al di là della piega legale che prenderà questo procedimento, mi pare significativa una cosa: forse per la prima volta un personaggio pubblico (in questo caso un famoso politico) è chiamato a rendere conto delle suo parole e delle sue menzogne. “La democrazia esige una leadership responsabile e onestà da parte delle persone che occupano incarichi pubblici” aveva sostenuto uno degli avvocati dell’accusa. Badate che non è banale questo passaggio. Pur onorando la sacrosanta libertà di parola (l’Inghilterra è la patria delle moderne libertà civili), si riconosce pure la responsabilità e l’onestà che sono richieste a chi ha incarichi pubblici. Se a tutti è garantita la libertà di espressione, è necessario tuttavia che questa facoltà sia accompagnata da un dovere di trasparenza, onestà ed integrità.
È positivo che ci si stia accorgendo che la democrazia non muore solo quando viene tolta la parola a qualcuno ma anche quando questa parola è pronunciata senza responsabilità, contraddicendo quel dovere di lealtà che tutti siamo chiamati ad avere verso la verità. È una consapevolezza oggi poco sentita, soprattutto nel complesso mondo dei social, dove chiunque può permettersi il lusso di dire “parole in libertà”, senza alcuna preoccupazione delle conseguenza che esse potranno avere.
Speriamo che, al di là delle personali vicende di Johnson, ci si accorga che insieme alla necessaria “libertà di parola”, occorrerà, prima o poi, riconoscere anche l’altrettanto sacrosanta “responsabilità di parola”.