Era notizia di qualche giorno fa: “La Francia cerca 1.500 querce secolari per ricostruire Notre Dame”. La famosa cattedrale francese, sventrata dall’incendio dell’aprile 2019, giace ancora in attesa che la ferita subìta venga guarita e che la devastazione possa trasformarsi in occasione di una nuova rinascita.
Pensavo allo shock di quei giorni, alle immagini strazianti del tetto in fiamme e all’urgenza che tutti abbiamo provato di ricominciare la ricostruzione prima possibile. C’era come l’esigenza di superare subito il trauma sofferto, come se quelle mura crollate e quelle volte bruciate fossero qualcosa di insopportabili alla nostra vista. Sono passati due anni e la ferita ancora non si è rimarginata, non solo per inadempienza o ritardo, ma perché, prima di tutto, ogni ferita richiede un tempo adeguato per la guarigione.
Stranezze della mente: no so perché ma la cattedrale martoriata di Parigi mi ha fatto venire in mente, per una associazione stravagante, il mio amico Carlo, che sta attraversando anche lui un momento difficile della sua vita. Come per “Nostra Signora”, anche per lui i suoi amici vivono un senso di impazienza per i tempi della guarigione. Cercano così strategie e supporti affinché Carlo esca il prima possibile da suo tunnel, forse perché l’immagine di Carlo “sofferente e ferito” è qualcosa che inquieta il loro cuore pieno di affetto.
È forse una costante della vita: la sofferenza possiede sempre un tratto urticante, che ce la rende insopportabile alla vista e pesante per il cuore. Tentiamo così mille strategie per accelerare i tempi, per bruciare le tappe della guarigione, per ritornare il prima possibile alla “normalità”. Eppure ogni ferita necessita di pazienza e di tempo: c’è un tempo per la guarigione che è indisponibile alle nostre attese e che non sopporta indebite intromissioni.
Sono i tempi lunghi attraverso cui la lesione smette di sanguinare, lentamente si rimargina, perde il color rossastro e acquista la tonalità più rosea e sana. Sono i tempi lunghi che paiono inutili alle nostre menti eccessivamente impazienti e produttive, incapaci di lasciare tempo al tempo. Ecco il punto: la malattia, ogni malattia o infermità, incendio o ricostruzione, ci educano al fluire lento del tempo e ci abilitano al quel senso dell’attesa che dimora in ogni rinascita. Nascere e rinascere sono processi che chiedono pazienza, attesa e speranza.