Antichi e Nuovi Tesori

È possibile raccontare la storia dell’antica Laus Pompeia attraverso l’arte moderna? È possibile narrare una vicenda che affonda le proprie radici nei primi secoli della storia con il linguaggio sorprendete, e talvolta spiazzante, dell’arte contemporanea? È la sfida che ha accettato l’associazione culturale “I Ricci” con la mostra “Laus Pompea – Antichi e Nuovi Tesori”, tenuta presso Il Conventino di Lodi Vecchio nel mese di dicembre. Una sfida difficile, persino ardua, eppure decisamente suggestiva ed intrigante, affascinante nella sua ambizione e brillante per l’esito raggiunto.

Occorre ammettere che la location della mostra, gli antichi ed austeri locali del Conventino, offrono uno scenario incantevole per gli oggetti d’arte esposti: le stanze brulle in mattone a vista, la nudità dei locali ed i reperti archeologici ivi contenuti, introducono il visitatore in un viaggio del tempo sorprendente, quasi collocandolo in uno dimensione spazio-temporale surreale e lontana. Il contrasto, meticolosamente voluto e ricercato, tra l’ambientazione remota e perduta e l’oggetto d’arte così recete ed innovativo è forse l’elemento più curioso e singolare di questa mostra: il vecchio ed il nuovo, la tradizione e la contemporaneità, il fluire lento del tempo e il vertiginoso fuggire dell’attimo presente, le pietre antiche della vecchia Laus e l’utilizzo insolito di materiali e tecniche espressive decisamente moderne e d’avanguardia. Penso stia tutta qui la fascinazione di questo viaggio: l’incontro inatteso e quasi forzato tra vecchie parole e nuove espressioni, tra memoria e futuro, tra oggetti che provengono dal passato ed altri che paiono anticipare l’avvenire.

Difficile rendere in poche righe la ricchezza del percorso, che pone il visitatore di fronte ad una varietà strabiliante di espressioni artistiche che includono le forme più tradizionali di pittura e scultura, insieme alla decorazione di oggetti in ceramica, disegni a china, decorazione di foglie e monili, opere prodotte grazie all’utilizzo di moderne tecnologie informatiche, senza disdegnare componimenti in cui metalli, stoffe, colori e forme si fondono in qualcosa che non è facile descrivere.

Il leit motive della narrazione resta sempre l’antico borgo di Laus Pompeia, cuore pulsante del territorio tra Milano e Piacenza nei secoli che precedono e seguono di poco la nascita di Cristo. Il racconto si dipana nella descrizione dell’antica porta della città, della stazione postale fuori le mura, il cardo ed il decumano, i martiri Naborre, Vittore e Felice, la santa Savina, la cultura romana e la natura straordinaria ed intatta che abitava questa terra a ridosso dell’Adda. Ma la narrazione prosegue nel tempo, includendo nell’affresco la storia della prima comunità cristiana raccolta dal vescovo Bassiano attorno alla mirabile basilica dei XII apostoli, oggi cuore della Chiesa Laudense, la vita spartana che animava le corti delle cascine e dei borghi agricoli, fino alla distruzione definitiva dell’anno 1158, che ne ha segnato indelebilmente la storia.

Eppure – e forse in questo la mostra testimonia tutta la sua attualità – quella storia, interrotta cruentemente secoli fa, è qualcosa di ancora vivo, attuale, vitale, tenace e vibrante, vigile ed eloquente. Quel mondo antico ancora ci parla, non solo come un lontano artefatto della memoria, ma come un elemento essenziale della nostra identità e della nostra cultura. Quelle vecchie pietre abbandonate ci parlano attraverso le opere artistiche di coloro che si sono messi in loro ascolto, che si sono lasciati interpellare dai loro lontani sussurri, dalle loro voci tenue ma eloquenti, dai loro racconti coperti di polvere ma che custodiscono, come braci nascoste sotto la cenere, un’anima ardente capace di scaldare i cuori.

In fondo, a bene vedere, quelle composizioni artistiche, pur nella loro incontrollabile diversità, ci si offrono come piccoli ma preziosi specchi in cui ciascuno di noi ha la possibilità di rivedere un pezzo del proprio volto, della propria storia, della propria identità culturale, religiosa, civile e personale. In ogni oggetto d’arte, di ieri come di oggi, c’è un pezzetto di noi, di chi siamo, di chi eravamo e di chi saremo.

Fare arte è anche questo: è legare i fili della storia e cucire gli eventi in un ordito capace di mostrare la bellezza e la profondità della nostra identità.  


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