Condivido a pieno la riflessione di Antonio Polito sul Corriere di oggi, relativamente al movimento pacifista che sta, giustamente, chiedendo a gran voce la fine delle ostilità in Ucraina.
Polito cita un’acuta frase di G. K. Chesterton, che proprio non può essere considerato un estremista guerrafondaio: «Vorrei indirizzare la mia protesta soprattutto contro quegli amanti e quei propugnatori della pace che, con straordinaria ristrettezza di vedute, hanno di tanto in tanto assecondato questa attitudine. Mi riferisco al fastidio per quei dettagli preliminari su chi abbia fatto questo o quello, e se ciò fosse o meno giusto. Essi paiono soddisfatti semplicemente affermando che una enorme calamità, chiamata guerra, è stata iniziata da qualcuno, o da tutti, e dovrebbe essere conclusa da qualcuno, o da tutti. Desidero dire a costoro che si sbagliano: che si sbagliano a proposito di tutti i principi della giustizia umana e della continuità storica».
Insomma, d’accordo chiedere la pace, ma senza dimenticare la verità della storia: chiedere la pace non può essere una scusa per confondere aggressore e aggredito, violentatore e violentato, vittima e carnefice, come se il peso della guerra lo portasse allo stesso modo chi sta invadendo e chi si sta difendendo. Scendiamo pure in piazza, ci mancherebbe. Non è solo lecito ma persino doveroso. Denunciamo le atrocità che stanno avvenendo ai confini dell’Europa, protestiamo contro l’uso delle armi, contro una violenza cieca che fa strage di innocenti, contro le fosse comuni che sul suolo europeo non si vedevano, Deo gratia, da decenni. Alziamo la voce, facciamoci sentire, riempiamo le piazze, urliamo il nostro sdegno, ma non scordiamoci che c’era un popolo che, dalla sera alla mattina, si è trovato sotto una pioggia di bombe, che si è visto distruggere la casa, che ha salutato i propri uomini chiamati al fronte, che vive sfollato da mesi, senza sapere come stanno i propri cari.
Chiediamo la pace ma, insieme ad essa, chiediamo anche giustizia e verità! Chiediamo la pace ma non dimentichiamo i torti, le vittime, le violenze. Chiediamo la pace ma non facciamo di tutta un’erba un fascio, non scordiamo i soprusi, non mentiamo sulle responsabilità. C’è una guerra, è vero, e questa è una cosa terribile. Ma la pace non può essere implorata al prezzo di un senso minimo di giustizia e di verità. Lo dobbiamo, non solo alle vittime innocenti di questo conflitto, ma al valore profondo della nostra cultura e della nostra identità.