Ma siamo sicuri che gli italiani hanno davvero bisogno di un avvocato per tutelare i propri interessi? E che questa difesa, semmai necessaria, si attui grazie all’ennesimo “masaniello”, tra i tanti che la storia ha già conosciuto, impegnato a guidare il popolo verso un “radioso futuro di progresso e di bene”?
Lascia onestamente un po’ perplessi il modo con cui il nuovo presidente del consiglio ha deciso di presentarsi alla nazione, quasi a lasciare intendere che sia in atto un’aggressione contro la quale occorre trovare validi difensori. Temo che sia, in fondo, uno dei tanti effetti collaterali del populismo nostrano, che attende il prossimo messia di turno, capace di affrancare il popolo sovrano dall’oppressione delle istituzioni nazionali e sovranazionali, per loro natura oppressive ed ingiuste.
Forse ha davvero ragione il prof. Diotallevi (Avvenire del 26 Maggio 2018) quando sostiene che è tempo di riscoprire un’idea tanto antica quanto ancora feconda come quella del popolarismo di sturziana memoria. “Al populismo si può contrapporre il popolarismo. Alla idea ‘populista’ di popolo – omogeneo, umorale, soggiogato, egoista – si può contrapporre un’idea ‘popolare’ di popolo: fatto di varietà e differenze, di libertà e responsabilità, di diritti e di limiti; un popolo senza padrone e senza stregone, senza domatore e senza avvocato. Alla tribù si può opporre la civitas.”
Nella visione “popolare” di popolo, esso non necessita di avvocati né difensori, ma nella sua composizione di corpi intermedi, stratificazioni sociali, organi di partecipazione e luoghi di discussione e confronto, è il popolo stesso a rappresentare un limite all’esercizio del potere. Si perché il popolo è per sua natura “plurarchico”, cioè organizzato in centri autonomi ma interdipendenti di potere. Il popolo esprime una forza sociale di controllo proprio attraverso quelle istituzioni e quelle procedure democratiche da cui gli “avvocati de noantri” vorrebbero difenderci.
Al populismo imperante si può rispondere offrendo una prospettiva radicalmente differente di convivenza e di partecipazione, fondata sull’idea di un popolarismo solidale ed inclusivo. In fondo, ci rammenta sempre Diotallevi “chi intraprendesse questa sfida con spirito e coscienza ‘popolare’ saprebbe anche subito che mentre ci si batte per la civitas e la ‘società aperta’ in Italia, per una inclusione fondata sulla mobilità sociale e una sicurezza garantita non da fossati ma da opportunità, ci si batte contemporaneamente per le stesse cose in una partita che coinvolge immediatamente tutte le società libere e insieme gli uomini e le donne che non godono delle nostre misure di libertà e che a noi guardano per un futuro migliore.”
Questo mio articolo è stato pubblicato sul numero di Giugno di “Dialogo”, inserto de “Il Cittadino”